Di Già dall’inizio si può gustare l’atmosfera plutoniana. Il torbido di un’amalgama emotiva densa e vischiosa si fa strada dalle prime immagini. Sin dall’apertura le forme raccontano una storia dai toni cupi e oscuri: una donna vestita da sposa, in lacrime che si dirige sulla scalinata di una costruzione essenziale in una terra deserta e all’interno minaccia il suicidio puntandosi una pistola al petto. Ma questo è il passato, è un ricordo.
Scorre il tempo e siamo nell’epoca attuale con la regia che indugia nelle stanze di una casa e i personaggi che si chiamano da una camera all’altra cosa che fa subito pensare che siamo in un ambito familiare, quello di una famiglia allargata del sud dell’Italia. Infatti la città è Lecce, bellissimi gli scorci barocchi che si intravedono nel corso della proiezione.
Colpisce da subito l’uso dei colori. Ozpetek pone l’accento più volte su un azzurro intenso, negli abiti e nella tappezzeria, e che chiude il film nel vestito della nonna sul letto al termine. È il colore del 5° chakra che rappresenta il diritto di dire la propria verità.
Molte occasioni conviviali, è un’ Italia a tavola e che a tavola discute e si confronta, ed è proprio durante le stesse che accadono i fatti più sorprendenti. Il senso della circolarità chiusa del legame familiare si respira fin dall’inizio col padre che rivolgendosi al marito della figlia che lo ha invocato:- papà.- dice: – “mica sei figlio mio tu.” Con questo dando nell’immediatezza a presagire che tipo di substrato compone il clan familiare. Siamo all’interno di un circuito chiuso, il circuito del legame consanguineo che non ammette estranei né diversità.
La famiglia possiede una fabbrica di pasta. L’origine. Il grano e i suoi prodotti rappresentano nell’immaginario collettivo Italiano qualcosa di profondamente patriottico. La pasta è l’emblema della cittadinanza e della famiglia. C’è qualcosa di immediatamente riconoscibile per qualsiasi cittadino italiano. Il profumo della pasta al pomodoro è il profumo di casa. Questo mi fa pensare a quelle dinamiche II-VIII che implicano proprio il ricorso alle proprie risorse per produrre trasformazione. E di trasformazione si parla in questo film.
Proprio dentro la fabbrica Antonio e Tommaso, i due eredi della famiglia, il primo rimasto a Lecce, fedele alla politica commerciale paterna, il secondo trasferitosi a Roma per studiare all’università di Economia e Commercio, si confrontano e Tommaso rivela la sua verità al fratello. Non ha studiato Economia, si è laureato in lettere e non vuole occuparsi degli affari di famiglia, vuole fare lo scrittore, ma soprattutto…è gay. Alla rivelazione segue una partita di calcio, altro elemento che ancora sottolinea un qualcosa di estremamente riconoscibile per ciascun abitante della nostra penisola, durante la quale Tommaso svela la sua intenzione di palesare la verità dei fatti esposti anche al padre: – Glielo dico davanti a tutti, papà mi caccia e sono libero. Non ho scelta! –
Queste parole di Tommaso, il protagonista, sono, a mio avviso l’elemento che chiude il cerchio sulla lettura astrologica che vorrei dare a questo film. Il nostro amico Plutone si sente aleggiare fin dalle prime battute ma qui, davvero assume la sua forma più nota: il Grande Mago della trasformazione, che avviene quando dall’ombra le cose passano alla luce. Saranno proprio le parole che userà Antonio quando durante la cena interromperà il tentativo di Tommaso di rendere noto il suo segreto per sostituirsi a lui nella narrazione della propria omosessualità:- Fare tutto alla luce del Sole.
A quel punto è come se dalla tavola si alzasse una sorta di tremore che dalle gambe va risalendo. La prima reazione dei commensali è di silenzio, un silenzio documentato dall’imbarazzo degli sguardi, non si capisce se quello che sta avvenendo fa parte di un gioco oppure rappresenta la realtà. La prima a fare qualcosa è Stefania, la madre di Tommaso e di Antonio. Stefania vuole l’immediato ripristino della realtà che le è cara, della “normalità” – ne chiederà anche riscontro a Marco in seguito: – Ma si guarisce da questa cosa qua che è successa ad Antonio? -, ma lì per lì fa la cosa che più di tutte è adatta a mettere tutto a tacere: ride, ride di una risata sguaiata e eccessiva, mentre dice al figlio qualcosa che riguarda la sua abilità nello scherzo. È lei che desidera che sia uno scherzo. L’atmosfera cambia, si fa pesante e culmina con l’attacco cardiaco del padre che sposta il narrato nell’ospedale.
La prima cosa che salta agli occhi dello spettatore è l’effigie di Padre Pio affissa alla parete della stanza di Vincenzo, il capofamiglia. “Santo plutonico” lo definisce Fabio Cassani nella sua relazione consultabile sul nostro sito alla sezioni “articoli”. E davanti al santo Vincenzo prega Tommaso: – tu mi devi aiutare, adesso mi sei rimasto solo tu. E’ chiaro che questo modo di caricare responsabilità sui figli descrive, in modo spettacolare, la dinamica di manipolazione tipica di Plutone.
La madre, vista da Tommaso, assume un atteggiamento altrettanto Plutonico: fruga tra le cose di Antonio cercando le prove e palesando la sua convinzione che Antonio non abbia detto la verità. Ciò che prende vita uscendo dall’ombra deve essere negato e rimosso se non è accettabile dall’Io, un Io strutturato in modo tanto tradizionale da sentirsi minacciato di disintegrazione rispetto alla richiesta di accogliere la diversità.
– Che vergogna! Chi poteva immaginare che andava a finire così, che diventavamo la favola di tutti. (Vincenzo)
E più avanti Stefania:
– Sentite mamma: di questa cosa meno ne parliamo e meglio è. Il dottore dice che dobbiamo tornare alla normalità.
Successivamente si fa strada anche la tematica del tradimento. È importante capirne la connessione con il tema. L’occasione è la scena in ospedale in cui l’amante di Vincenzo lo sta carezzando suadente e si scambiano intime confidenze ma ad un tratto entra Stefania, la moglie, che dirà aprendo la finestra:
-…Si sente puzza di puttana! –
Sappiamo che senza il tradimento non c’è crescita. Per rinnovare ciò che è vero da sempre bisogna interrompere una catena, un legame, un circolo precostituito che continua a ripetere se stesso come creazione di senso: bisogna tradire, cortocircuitare quella presa di significato significa irrompervi dall’interno, introdurre qualcosa di nuovo che violi quell’ordinarietà e da quella interruzione costruire un senso nuovo e diverso. Anche il riso nasce da una violazione delle regole del linguaggio, anche la vita prende il via da un taglio netto, da un dolore.
Ecco allora che Ozpetek descrive un inno alla vita, alla vitalità, all’accoglimento della differenza come sintomo di crescita e partecipazione anche quando questo ha il prezzo di abbattere qualche parte di noi a cui siamo estremamente affezionati.
– Se uno fa sempre quello che gli dicono gli altri non vale la pena di vivere!- dice la nonna a Tommaso.
Emblematico anche il pianto del padre sulle foto del figlio da bambino, le sue illusioni cadono e lui soffre.
Mi è piaciuta molto la scena in cui Alba e Tommaso sono inquadrati di schiena mentre si trovano davanti alla finestra aperta e fuori piove. In quella occasione Tommaso racconta del suo amore per Marco: – lo guardo come si muove, da dietro, come se ne va fra la gente, non so perché, ma questa cosa commuove. – e subito dopo Alba racconta della morte della madre (ancora Pluto) – alla fine stava così male che speravo che morisse! – ma poi non è così come te lo aspetti: – tornavo a casa e non sapevo che fare! – il vuoto dinnanzi al quale occorre rimboccarsi le maniche e sostituire con nuovi contenuti.
Sotto casa di Alba Antonio aspetta Tommaso:- devi esserle simpatico, a me non ha mai chiesto di salire. – accusa Tommaso di essersi dovuto prendere in carica l’eredità paterna perché lui se n’è andato mentre a lui è toccato di restare. Tommaso ribatte che lui da solo a Roma si è dovuto nascondere anche lui. Segue una discussione sempre più viva che diventa lotta fisica. Tommaso dice: – Fa bene Michele (l’amante del fratello, che è stato tenuto nascosto per tanti anni) che non ti vuole più, perché tu pensi solo a te stesso e da solo devi restare, come tutti quelli che pensano solo ai fatti loro! – Non posso dimenticare il senso di solitudine che accompagna l’avvicinamento nei transiti di Plutone, un po’ perché l’ho sperimentato sulla mia pelle, un po’ perché l’ho letto tante volte sul volto dei consultanti, tutti noi sappiamo di cosa si tratta quando quel senso di profonda esclusione dal mondo ci attanaglia il cuore.
Antonio:- Noi le cose ce le siamo dovute litigare perché quello che viene dato all’uno viene tolto all’altro, io me la sono dovuta guadagnare questa vita e non ci rinuncio per nessuno, nemmeno per te! –
La nonna racconta di Nicola, il fratello di suo marito, che è stato il suo amore nascosto per anni:- gli amori impossibili sono quelli che non finiscono mai, sono quelli che durano per sempre!-
Alba a Tommaso di ritorno da un evento mondano in cui Tommaso rideva e scherzava con dei ragazzi del posto e lei lo accusa di aver raccolto pettegolezzi su di lei, che viene considerata strana da tutti: – sono stanca, non riesco ad avvicinarmi agli altri!.
Anche in questo Plutone si manifesta. Questo senso di insicurezza, che vede Alba fare la diversa perché non si sente parte della comunità, questa distanza che mette tra se e gli altri indica proprio la fase trasformativa del transito. Per ricostruire qualcosa di nuovo deve perdere, ma la mancanza di serenità e di sicurezza la induce nella paranoia. La stessa paranoia che coglie il padre di Tommaso seduto al bar mentre vede tutti intorno ridere ed ha la convinzione che ridano di lui.
Arriveranno da Roma gli amici di Tommaso. Questa nuova presenza in casa determina ulteriori percorsi sotterranei e dinamiche plutoniche. Loro devono tenere segreto che sono gay, così modificano il loro modo di vestire e di comportarsi ma emerge la loro diversità, inevitabilmente. Marco e Tommaso si incontrano, in modo clandestino, la notte e nello stesso tempo la zia Luciana scambia con uno dei ragazzi confidenze riguardo la sua fuga a Londra per inseguire l’amore.
C’è il momento della scena al mare, i ragazzi ballano in mezzo alle onde ed esprimono tutta la loro vitalità giocando insieme. Tommaso resta a guardarli e più tardi dirà ad Alba:
– non bisogna avere paura di lasciare, perché tutto quello che conta non ci lascia mai, anche quando non guardiamo.
Il giorno dopo a colazione Tommaso dice ai suoi che vuole fare lo scrittore, che non intende seguire la fabbrica e che quello che sente quando scrive è ciò che vuole per la sua vita.
La notte successiva ci sarà una morte. La morte della nonna, che davanti allo specchio si prepara e si trucca come per un appuntamento importante e poi inizia a gustare pasticcini e dolci che la circondano per tutta la stanza. Lei è diabetica.
La mattina andrà a svegliare Tommaso:
– Sei stato bravo a resistere, fai così, sbaglia sempre per conto tuo.
Si sente piangere. È morta.
In questo continuo gioco di verità non dette, la nonna incontra la morte quando ogni cosa è stata messa sul piatto della bilancia e pesata dalla vita stessa senza più veli che la nascondano. Lei indossa un abito azzurro, il colore del quinto chakra, il coraggio di pronunciare la propria verità.
Inizia tutta una serie di immagini sulle strade di Lecce mentre la nonna domanda se quei luoghi terranno memoria di lei e si interroga sulla vita, su quello che non è riuscita a fare perché era troppo piccola per la vita, che invece è così grande! Parla di se ricordando che i nipoti la chiamavano “Mina Vagante” – le mine vaganti servono per portare il disordine, per portare le cose dove nessuno vuole farcele stare.
Finalmente al funerale la famiglia si unisce di nuovo. Tra di loro anche i fantasmi della nonna e di Nicola. – Non siate tristi per me quando non sentirete la mia voce in casa: la vita non è nelle nostre stanze. –
Nel finale un ballo generale. Non si distingue più passato e presente, diversità e normalità si balla e basta. Questo finale mi ispira ancora qualche considerazione astrologica sul cammino che unisce le case IV-VIII e XII. Vorrei lasciarvi così senza dire nulla di più esplicito ma la tentazione di spiegare l’affermazione è forte. Siamo partiti dalla famiglia, un clan ghettizzato e chiuso dove principi e valori sembrano non poter essere mai messi in discussione perché questo sembra provocare la disintegrazione. E forse in parte è vero, perché per arrivare alla XII le barriere vanno assottigliate e rese permeabili. In VIII esce tutto il marcio, tutto ciò che deve essere lasciato, ridotto in escremento ed eliminato se si vuol andare avanti ricevendo nutrimento vero da ciò che è stato digerito. In XII c’è la riunione col tutto, la comprensione che l’altro è me ed io sono l’altro e se non accetto la sua differenza non accetto me stesso.