Questi due signori condividono alcune cose interessanti: la grande Dea dell’amore si trova unita al Dio del Sole e con lui condivide attrazione, voglia di brillare, voglia di essere al centro del mondo. Entrambi attraggono a sé, Venere per piacere e per desiderio e il Sole per vita, calore e brillantezza.

Questo amore è Narciso. Venere quando è legata al Sole è attratta dall’Io, non riesce quasi mai a guardare oltre e rimane spesso abbagliata dalla sua stessa luce.

Narciso ha due fasi. Nella prima è felice: non conosce niente, non conosce l’altro e quindi nessun turbamento riesce a smuoverlo. Poi ad un certo momento ha sete, si china nell’acqua e, proprio in quell’istante, la vita si ribalta interamente e lui è obbligato ad uscire dall’innocenza, osservando il proprio riflesso. Questo è il momento in cui noi possiamo aprirci alla vita e alla vera potenzialità di giungere un giorno al completamento, oppure possiamo, come nel Mito, dischiudere le porte della morte dell’Io che consiste nell’incapacità di aprirsi all’altro e quindi nell’impossibilità di raggiungere il Sé.

Il Mito dice che Narciso muore perché ha rifiutato l’amore di una ninfa. Forse Narciso cercava uno sguardo che gli rispondesse, e non l’ha trovato perché ha visto solo sé stesso. Se pensiamo che nei primi mesi vi è la simbiosi con la madre, forse il fatto che sia il Sole ad unirsi a Venere ci riporta ad una scarsa risposta, poiché il Sole – elemento maschile – non riesce a riflettere lo sguardo:
forse c’è solo finzione, illusione ed abbaglio. Forse a Narciso è mancato proprio quel gioco di sguardi che unisce la madre al suo bambino; è questo che crea le condizioni per il futuro amore, questo è il preludio per altri incontri e per la consapevolezza del sé. Se il bambino ama istintivamente tutto ciò che quello specchio gli rimanda è perché già lo conosce, lo ha percepito nel contatto con la madre ancora prima di vederlo riflesso nei suoi occhi: è in quei punti di riferimento che lui ha la certezza di essere amato e di essere.

Narciso sembra essere vuoto, non essere, non avere memoria di questo primo amore e quindi impara ad amare sé stesso nel momento in cui si vede riflesso: è indifferenziato, non separato dal mondo originario e quindi ricerca costantemente sé stesso in ogni singola persona che incontra, perché andare al di là di questo significherebbe mettere a repentaglio un troppo fragile equilibrio.

Venere-Sole è un archetipo non facile che spesso induce il soggetto a non prendere in considerazione gli altri, perché il Sole ha troppa forza di attrazione e tende ad impedire che lo sguardo di Venere vada in altra direzione e si stacchi da lui. È un amore per sé, preludio a qualsiasi altro amore ma che può non avere la forza di rompere questo guscio e rimanere esclusivamente concentrato su di sé.
Questo è il grande dramma di Venere-Sole: l’identità può non nascere sufficientemente e non riuscire a godere di quelle parti che derivano dal contatto con l’altro, e in un certo senso questo amore rimane imprigionato nel suo “essere troppo autocentrato”, senza accostarsi mai con interesse verso l’opposto.

Questo amore vive l’innamoramento iniziale; però poi non si schiude, non si apre, e quindi termina, delude, sfiorisce e si ripiega sgonfiandosi in una delusione che è come una ferita impossibile da rimarginare. È Casanova che cerca:
però non cerca anime, cerca solo corpi e quindi non potrà mai giungere a quella dimensione di energia che parte e che si dirige attraverso l’altro nei meandri della nostra psiche, per risvegliarla, metterla in movimento e invitarla a conoscersi.

Venere-Sole rappresenta il primo stadio dell’amore, quello narcisistico primario che ha qualcosa di autistico, nel senso che non vi è ancora un vero interesse per l’altro e quindi sostanzialmente non vi è ancora relazione: è l’amore per sé che deve essere il punto di partenza per poi giungere alla capacità di aprirsi all’altro. Ogni volta c’è il “via” che si apre con la conquista, però poi il soggetto non riesce a dirigere la libido verso l’altro e quindi questa ritorna all’Io, in una sorta di movimento circolare che si fa eterno, come un vortice che non permette di uscire dalla traiettoria. Ciò conduce quasi sempre alla ricerca ossessiva di “oggetti”, che però riescono solo ad attivare il movimento centripeto dell’energia: la persona conquista ma poi abbandona, anche perché l’altro non c’è, e quello che si attiva è solo un primo passo che dovrebbe consentire la successiva schiusa e il movimento centrifugo dell’energia.

In questo primo stadio non vi è neppure la simbiosi, vi è solo e sempre la sensazione di essere soli con sé stessi.

a cura di Lidia Fassio