Su ali dorate di farfalla mi trasporti
E mi inviti a contemplare
La divina bellezza che seduce

Nell’interpretazione del sogno di Barbara, la scorsa volta, avevamo concluso che il processo di integrazione della parte inconscia e l’instaurarsi della comunicazione non sono sempre lineari. 
A volte ci sono momenti in cui sembra di tornare indietro, di ritornare nel buio da poco lasciato per un po’ di luce. Questo ci può spiazzare, talvolta, e far sentire confusi e anche avviliti.
In realtà questi processi non possono che apparirci per certi versi circolari, a scatti, a spirale, con momenti di apparente regressione e non sempre i passaggi avvengono tutti alla luce del sole. Al contrario ci sono fasi e momenti in cui il cammino procede nell’incubazione dell’inconscio, come nel seno del sonno lunare, e per quanto ci sforziamo di trovare una risposta chiarificatrice, ci sembra sul momento di non riuscire.
Spesso (non so dire se sempre sia così, ma non importa il sempre), sono momenti di un tornare indietro per poter andare più avanti. 
Anche in questi casi, non dovremmo perciò cedere alla tentazione di demoralizzarci, né tanto meno di demordere ed accantonare il lavoro sul sogno e su di sé. Proprio allora vale la pena di insistere, ma non tanto come sforzo e tentativo testardo di “far parlare a tutti i costi il sogno”, bensì piuttosto attraverso un atteggiamento di fiducia riposta nel fatto che anche questa fase ha un suo senso e fa parte del percorso, e che ci sarà un momento in cui avverranno un’integrazione di tutto ed una chiarificazione.
Un po’ come la fase della luna nuova, quando niente appare chiaro, ma avvolti nel buio grembo della luna (terra), i semi di nuovi progetti e futuri cicli stanno intanto germogliando nel sonno.

Avevamo fatto l’esempio di un sogno che la sognatrice aveva avuto successivamente a quello molto bello, il cui significato luminoso era stato facilmente colto, che ho illustrato; per questo secondo sogno, al contrario, non era per niente facile cogliere il significato “luminoso”, almeno non di primo acchito, e meno ancora quale seguito logico dopo il precedente.
Qual’è la nostra reazione quando facciamo un sogno con contenuti che ci disturbano? Vorremmo cancellarlo, dimenticarlo, fingere che non sia avvenuto, oppure desidereremmo trovare un modo per riconciliare quei contenuti, per trasformarli in qualcosa di costruttivo e che abbia un senso nell’aiutarci a trovare serenità (e risposte)? Trovare un senso autenticamente “piacevole” significa trasformare il sogno in esperienza onirica e apprendere da essa con facilità; molto meglio che affannarsi a cancellare tutto.

Il sogno è il seguente.
Sogno della furia distruttrice.
“Sto salendo lungo un viottolo e fatico; è una strada di pietra, scivolosa. Mi accorgo solo dopo un po’ che c’erano dei gradini sulla sinistra, che mi avrebbero fatto faticare un po’ meno. Alla fine della salita mi trovo su un alto terrapieno alla cui sinistra si apre una grande vallata. 
Ricevo la precisa sensazione che la terra stia ribollendo internamente e che tutto andrà sottosopra. Infatti cominciano dei violenti scossoni. Il terrapieno sta crollando. Mi chiedo come scampare, da un lato penso che se riesco a restare sopra potrei salvarmi, ma il rischio è che poi io precipiti pericolosamente. Dall’altro, penso che potrei assecondare il movimento della terra e scivolare sotto con lei, ma in quel caso potrei restare sommersa dalla marea di terra in movimento. A quel punto vengo presa come da un ciclone, è una bufera fortissima. Vengo sollevata e fatta volare da una forza immensa che sembra scuotere ogni cosa. Io sono priva di ogni forza per provare a resistere e sottrarmi o nuotarci in mezzo in qualche modo. Vengo fatta volare di qua e di là. Non sarebbe neanche brutto ma a un certo punto il vento impetuoso mi sta per scagliare in direzione di una parete di rocce taglienti come rasoi. 
Poi la scena cambia e sono con della gente lungo le viuzze strette e tortuose di una città antichissima scavata sotto un’alta montagna. È come un lento esodo, dobbiamo per forza passare lì, ma io sono certa che tutto ci crollerà addosso. 
Cambia ancora: con della gente, per scappare ora saliamo su un alto tetto a terrazza. Ma vi sale tanta di quella gente che io temo per l’incolumità, soprattutto, della bambina che ora ho con me. Delicata, bionda, per proteggerla dalla calca le dico di mettersi al centro, così non verrà spinta di sotto; le sto vicino, ci accucciamo e io presto attenzione a che lei non venga calpestata. Ma non siamo al sicuro neanche lì e io guido tutti a cercare un riparo migliore. 
All’improvviso sono nella casa della mia infanzia, entriamo in camera da letto dei miei genitori, ma una donna che si trova lì con un fischio chiama dei cecchini per farci sparare addosso. Io non voglio arrendermi ed essere uccisa.
Cambia ancora scena: ora una donna molto patinata e curata, truccata con rosso alle labbra e pettinata coi capelli stile anni quaranta pronuncia una sorta di sentenza: – Colpire il padre a 5 gradi di distanza è uguale a colpire una figlia – quindi prende mia figlia, non quella che avevo protetto ma un’altra, una neonata, avvolta in copertine e fasce bianche, e le spara come a impalarla con una pistola dalla lunga canna nera. Lo sparo ha il rumore soffocato del silenziatore. Inutilmente spero che non accada quel che invece sta accadendo. Della bimba non resta niente, solo brandelli della copertina bianca, come piume leggere di un uccellino che aleggiano attorno. C’è, a guardare, della gente con facce terrorizzate, ma io sento che sono di circostanza, e tutto suona falso, come un film, anzi, una pantomima. Pensandoci, anche la faccia di quella donna, così curata nel trucco perfetto del bel viso gelido, sembra quella di un’attrice. Quello che in apparenza è un dramma, stranamente non presenta le emozioni drammatiche che ci si aspetterebbe. La mia preoccupazione resta forte per la bambina più grande, che potrebbe restare scioccata per sempre da ciò cui ha assistito. Quello per me sarebbe un grandissimo dolore. 
Compare a quel punto un fratello di lei che sembra un po’ sempliciotto. Indossa un lungo cappotto nero stile famiglia Addams. Ha i polsi e il collo imprigionati in una gogna. Con la sua parlata buffa, un po’ strascicata, un po’ stile Donald Duck e con assoluta semplicità, riferisce di essere stato buttato in mare, ma di essere riuscito a nuotare e a uscirne. In effetti la gogna era ricoperta di alghe. 
Io allora spero che questo rassicuri la bambina.

Al risveglio mi sento amareggiata, priva di energia, come risucchiata in cose vecchie che credevo ormai piuttosto appartenenti al passato. Mi lascia perplessa, aver fatto questo sogno, forse anche un po’ sgomenta. 
Allora vuol dire che non sono andata avanti? Che non sono andata da nessuna parte? Forse ho peccato di presunzione a credere di potercela fare e sono stata punita?
Oppure tutto è così illusorio ed instabile che niente può mai essere dato per acquisito, come la terra che non sostiene ma crolla sotto i piedi? Allora non avrò mai certezze che mi possano davvero sostenere? Penso che non è possibile sia questo il vero messaggio di questo sogno, che sembra contraddire così manifestamente l’altro, eppure non riesco a trovare una risposta che mi appaia adeguata e che mi faccia sentire meglio. ”

Questo era il tenore dei pensieri indotti dal sogno. 
Effettivamente, esso ha un clima quanto meno gotico! Direi anche che esprime chiaramente paure angoscianti e profonde.
Oltretutto, una tale colorazione del pensiero non rende facile lavorare sul sogno perché è come se corrodesse la fiducia di base di potercela fare (farcela equivale a trovare significati che reintegrino la serenità e diano una spinta a procedere nella ricerca e nel conseguimento di un migliore stato dell’essere).
In questo caso, accostando linearmente il sogno al precedente, di primo acchito sembrerà, a chi ha sognato, di essere piombato indietro, di essere ritornato negli inferi da cui si credeva ormai uscito, quasi un Orfeo che incapace di resistere si volta troppo presto a guardare l’agognato premio della sua impresa….e viene punito.

Ma in realtà, è proprio a questo punto che si dovrebbe resistere e con tenacia mantenere l’idea che si possa riuscire prima o poi, in un modo o nell’altro, a vedere da quale parte la montagna può essere attraversata. O scalata. 
Che ci si riesca, a compiere il salto, a questo punto, è affidato al libero arbitrio e alla scelta della persona, né più né meno di quanto si possa dire osservando un tema natale con le sue potenzialità che solo scelte precise potranno far dispiegare (senza poter misurare né quantificare i fattori che influenzano l’effettiva possibilità di tali scelte, che rimane alfine un mistero).

In effetti, Barbara non è riuscita in questo caso a trovare “spiegazioni” razionali che le mostrassero una via “positiva” di interpretazione del sogno, o almeno non tali da eliminare nettamente le sue sensazioni di disagio. Probabilmente perché l’aggancio emotivo era molto forte e lei non è riuscita a distaccarsene sufficientemente; o forse non è stato necessario farlo al momento, forse è attraverso altri sogni che il lavoro onirico potrà essere portato avanti e la trasformazione perfezionata.
Ma, nonostante tutto, ed è questo esattamente che voglio sottolineare, ella riesce a volgere in positivo il sogno e a ricollegarlo al precedente pur senza operarne una precisa interpretazione. Nel tentativo di interpretazione che fa, Barbara trova poca soddisfazione: situazioni di trasformazioni subite e vissute come angosciose; minacce che sembrano provenire dall’ambiente, ma anche dall’elemento Terra, archetipicamente la madre; anche dal vento, simbolizzante lo spirito e il maschile, che sta per scagliarla violentemente contro le rocce taglienti; il femminile che si incontra è di una bellezza falsa e crudele e distrugge una potenzialità; se anche le minacce paventate non si realizzano una, due, tre volte, emerge comunque l’immagine di un femminile distruttore che sembra non lasciare speranza; il maschile che sopravvive e a cui la sognatrice si affida per alleviare le sofferenze della sua bimba (di lei stessa) è piuttosto malconcio, tutt’altro che ideale, anche se, in fin dei conti, di fatto efficace. Vero che nell’ultima parte c’è l’elemento della finzione che potrebbe far pensare al carattere “illusorio” di molte idee che ci facciamo sulla vita per il fatto di averle fissate in un certo modo nella mente (l’illusione di Maya); vero che le minacce della Terra, del Vento impetuoso e della Montagna contenente la città, minacce che sembrano mortali, non si attuano affatto.
Però, anche volendo vedere una serie di passaggi e di iniziazioni, sempre di esodo e di fuga per la salvezza si parla, e la salvezza come può essere trovata se non c’è un lieto fine decente?
Il “lieto fine” deve essere cercato.
Non intendo presentare qui l’interpretazione di questo sogno, che sicuramente presenta molto materiale interessante, in grado di rivelare importanti aspetti di guarigione.
Mi interessa focalizzare l’attenzione sull’atteggiamento costruttivo adottato, nonostante sembrassero mancare agganci agevoli forniti dal sogno.

La sognatrice, dopo aver tentato sommariamente le vie che ho detto, non riesce a trovare un modo per lavorare sul sogno direttamente per trasformarlo. Ma sente che deve elaborare e trasformare le sensazioni tristi ed angosciose che ne sono scaturite. 

La soluzione che lei trova è quella di attribuire al sogno il ruolo di offrirle la possibilità di una revisione di cose passate, affinché coscientemente lei possa scegliere di pensare che ora quel passato non è più presente. 

Forse il sogno intendeva suggerire che ci voleva un atto di volontà per credere che, nonostante la consapevolezza di tante difficoltà oggettive avute, queste potevano essere viste ora con il distacco salvifico dovuto ad una finzione cinematografica; inoltre, che certi pensieri pesanti ricorrenti nel suo quotidiano, legati alle difficoltà incontrate, potevano essere, per lo meno in parte, frutto dell’attaccamento agli schemi del suo passato, non ancora del tutto smaltiti ed elaborati. 

Del resto, è vero che ella aveva avuto quel primo sogno molto bello, pieno di sensazioni ricche e vitali; ma possiamo ritenere che l’inconscio le aveva mostrato dapprima la configurazione perfetta e pura che la muoveva, ispirava ed orientava, per poi venire a ricordarle che il quotidiano e la materia richiedono tempo e impegno fattivo per modellarsi su una tale purezza di visione.
Insomma, il secondo sogno poteva venire a suggerirle che se non riusciva ad avere una realtà adeguata al primo sogno era per via dei vincoli della materia che la imprigionavano ancora al passato (le sinapsi sono, in fin dei conti, circuiti stampati nella “carne” e nella materia). Incoraggiata dalla sensazione di alleggerimento provata con tale considerazione, possiamo immaginare che la sognatrice rifletta così sul suo sogno:

“Sembrerebbe indicare una revisione del passato. Mi dice forse che i pensieri di blocco, di paura e di morte che a volte mi abitano sono il residuo di vecchie modalità di vivere le esperienze e derivano dall’idea di un femminile crudele introiettato. Mi piace se penso che il sogno è venuto a dirmi il perché delle mie tristezze: che esse sono dovute a vecchi film che continuo a proiettare nella mente e alla conseguente paura di trasformazioni importanti in corso, alle quali non riesco a lasciarmi andare perché non mi fido, ma che di fatto non mi fanno un graffio!

Il vecchio film racconta di una vita spezzata. Vi è una donna spietata che forse però è una maschera. E un maschile non brillante, né forte, ma di fatto, al lato pratico, molto meglio di quel che sembra in apparenza. A lui è affidata la speranza. Il primo sogno mi ha mostrato la realtà dello spirito, del mio sé, della mia guida interiore divina. Questo, invece, la realtà quotidiana e materiale e le paure che si agitano in essa sotto la soglia della coscienza, retaggi della prigione delle esperienze passate, che ora posso decidere di voler continuare a superare. Del resto, il sogno si chiude sulla speranza che la mia dolcissima bimba ce la faccia. 
Lui – il mio “brutto” sogno –  mi suggerisce in questo modo l’immagine fonte ispiratrice e imprinting per l’anima. 
Io, nel reale della veglia, devo impegnare la mia volitività per crederci e forgiare nel mondo fisico il significato per me più costruttivo. Il sogno mi invita perciò ad agire ponendomi in una situazione in cui, proprio agendo in tal modo, trovo il significato che allevia l’angoscia. 
Ideale, da una parte; realtà e volontà di azione, ad esso ispirata, dall’altra. 
Scelgo questo significato, dunque, come il più valido e buono per me, ora. E divento co-creatrice del mio sogno e della mia vita”.

Trovo molto bello il fatto di aver scelto, nell’impossibilità di conseguire attraverso le vie consuete lo scopo prefissato con la pura ragione, di credere a un messaggio di questo tipo, che non perde niente del carattere rassicurante e caldo di quello del sogno precedente, ma a condizione di trovare il coraggio di agire quella scelta, anziché di riceverla in visione. 
Il sogno così produce l’effetto di stimolare direttamente l’attuazione di una volitività ed affermazione positiva di sé più mature e consapevoli; il Sé le ispira e l’Io le padroneggia.
Lo scopo prefissato è ottenere dall’esperienza qualcosa che faccia stare bene perché integra, completa, fa crescere. 
Per comprendere il messaggio, è stato necessario stavolta decidere di “crearlo” in quel preciso modo, di volerlo esattamente così, accettando il rischio di scegliere magari il “significato sbagliato”, introducendo una nota di arbitrio nell’interpretazione della “volontà” del sogno. 
Che quell’arbitrio esprima la libertà della persona e che “sbagliato” non sia niente che non decretiamo noi come tale, sono tutt’uno. 
Dal coraggio di scegliere, alla libertà, alla responsabilità: scatta l’incanto e l’arcano effonde il suo fluido misterioso che alleggerisce l’anima portando guarigione e serenità.