Quando physis e psyche si fondono,
ecco che un olodesiderio
sembra davvero venire dalle stelle,
e verso queste condurre.
Tarocchi, gli Specchi dell’Infinito, p. 158

Il pensiero che da tempo mi guida nella ricerca è quello analogico che ho sviluppato nella Tarologia Umanistica, strutturata sincretisticamente trovando nei simboli le chiavi interpretative della cosiddetta realtà. Quindi ormai, ereticamente, non esito più a cercare ardite corrispondenze tra ogni tipo di disciplina e di cultura, nel solco dell’ermetismo e del neoplatonismo rinascimentale degli umanisti.

IL MITO DI ER

Nel X Libro della Repubblica, Platone racconta il mito di Er.
Il corpo di Er figlio di Armenio di origine panfilica, uomo valoroso morto in guerra, fu ritrovato incorrotto dopo dieci giorni sul campo di battaglia in mezzo ad altri cadaveri già decomposti. Due giorni dopo fu messo comunque sulla pira funebre, ma in quel momento straordinariamente riprese vita e narrò la sua storia dal momento della morte.
La sua anima, una volta uscita dal corpo, si era incamminata insieme a tante altre verso un luogo meraviglioso dove si aprivano due voragini nel terreno e due corrispondenti nel cielo. Qui sedevano i giudici che decretavano se un’anima immortale dovesse proseguire verso l’alto o verso il basso in relazione alle azioni giuste o ingiuste compiute durante la sua incarnazione terrena. Ma quando fu il turno di Er, i giudici gli ordinarono di osservare bene tutto, per poi tornare sulla terra e riferire ciò che aveva visto.
Così Er vide le anime dei giusti tornare da una delle voragini del cielo dopo un lungo viaggio di beatitudine; nello stesso tempo quelle degli ingiusti tornavano sofferenti anche dopo mille anni dal viaggio compiuto nel sottosuolo, mentre ad alcuni che si erano macchiate di crimini particolarmente malvagi non era concesso di riemergere mai.
Tutte le anime qui ritrovate, dopo aver avuto ricompense in cielo o scontato pene sottoterra, trascorrevano sette giorni nel prato e all’ottavo partivano per un viaggio di cinque giorni fino a un luogo da cui si innalzava una specie di colonna immensa di luce simile a un arcobaleno. Questa luce, che abbracciava l’intero cosmo, era come un grande e complesso fuso a otto cerchi concentrici ruotanti (come i cieli delle stelle fisse e dei pianeti): su ogni fuso c’era una sirena che emetteva una sola nota in armonia con le altre, in quella che fu poi detta “musica delle sfere”. L’insieme di tutto questo fuso cosmico ruotava sulle ginocchia di Ananke (personificazione della necessità).
Intorno a lei sedevano le tre figlie: Lachesi, Cloto e Atropo. Sull’armonia delle Sirene, Lachesi cantava il passato, Cloto il presente e Atropo il futuro, mentre aiutavano il fuso a girare.
Quando le anime giungevano al cospetto di Lachesi, un araldo prendeva dalle sue ginocchia le sorti e i modelli di vita; quindi assegnava casualmente le sorti a ciascuna anima, cioè un numero d’ordine con il quale ognuna di loro aspettava il turno per scegliere un modello di vita futura fra tutti quelli a disposizione. In base al sorteggio i più fortunati sceglievano per primi.
Ogni modello di vita da scegliere corrispondeva a un destino in gran parte determinato, cioè a un cosiddettoDaimon. C’era la possibilità di scegliere esistenze di ogni tipo: animali e umane, di uomini e donne ricchi e felici, in rovina e in esilio, miseri e illustri, mediocri, belli, vigorosi, nobili, virtuosi in ogni combinazione e mescolanza possibile.
I più saggi sceglievano l’esistenza che permetteva loro di vivere diventando più giusti, altri si facevano attrarre da future esistenze di personaggi potenti e ricchi, anche se destinati a compiere ingiustizie e a subire sventure pur di mantenere quel potere e quella ricchezza.
Capitava spesso che le anime provenienti dal cielo facessero scelte più avventate, non avendo fatto diretta esperienza del dolore e della sofferenza causati dalle ingiustizie commesse.
In ogni caso per tutti c’era possibilità di scelta, persino gli ultimi per sorteggio potevano avere delle buone opportunità scegliendo tra i modelli di vita rimasti.
Tutti comunque sceglievano secondo le proprie abitudini ed esperienze fatte: chi si fosse applicato genuinamente alla filosofia avrebbe potuto fare sempre le scelte più sagge e giuste, cioè felici, ed eternamente andare e tornare dalla vita terrena a quella celeste, a meno che il sorteggio non fosse particolarmente sfavorevole impedendoglielo di fatto.
Er raccontò di aver visto la prima anima sorteggiata optare per la vita di un tiranno molto potente senza valutarne tutte le implicazioni, per poi pentirsene subito dopo.
L’anima che aveva vissuto come Orfeo scelse di rinascere come cigno, mentre l’anima che aveva fatto l’esperienza di essere Atalanta scelse di rinascere come un atleta molto apprezzato per le sue numerose vittorie agonistiche.L’anima che fu Odisseo ebbe in sorte di scegliere per ultima, ma si dichiarò soddisfatta con il modello di vita di un qualsiasi uomo sfaccendato che tutti avevano scartato, e disse che avrebbe scelto questo anche se fosse stata sorteggiata per prima.
Compiute tutte le scelte, Lachesi assegnava a ciascuna anima un Daimon esecutore della scelta fatta e custode della vita futura. Quindi la mano di Cloto girava il fuso e sanciva il destino scelto, e Atropo rendeva immutabile la trama filata.
Infine, prima di reincarnarsi, le anime si recavano nella pianura del fiume Lete, mentre un caldo soffocante le rendeva assetate. Tutte erano obbligate a bere le acque del Lete, perdendo così la memoria delle vite passate, anche se le anime più prudenti ne bevevano con moderazione.

LE TRE MOIRE E LA BELLA ADDORMENTATA

Nella mitologia greca le tre divinità femminili che tessono il destino dei mortalierano dette Moire: Lachesi (la sorte), Cloto (la filatrice) e Atropo (l’inflessibile), che Platone descrisse come figlie di Ananke (Necessità). Sono presenti anche in altre culture europee: i romani le chiamavano Parche e i germani Norne, coloro che bisbigliano i segreti. La loro popolarità è testimoniata anche nel folklore più moderno, basti pensare alle numerose versioni della Bella addormentata, da Basile a Calvino, da Perrault ai Grimm.
Alla nascita di una principessasi presentarono le fate del regno che, in quanto madrine, fecero diversi doni alla neonata: bellezza, saggezza e ogni sorta di buoni talenti. Ma una fata malvagia e vendicativa che non era stata invitata alla festa decretòla maledizione di un destino di morte prematura a causa della puntura letale del fuso di un arcolaio. Una benedizione in extremis di una buona fata concesse di trasformare la condanna a morte in un lunghissimo sonno che solo l’amore avrebbe potuto interrompere. Ogni tentativo di evitare che la bambina entrasse in contatto con un fuso fu inutile, perché ella ne sarebbe stata fatalmente attratta fino al compimento di quella parte di destino immutabile. Un’attrazione fatale che è parte delle leggi fisiche che regolano l’universo a cui non ci si può sottrarre, come non ci si può sottrarre alla legge di gravità.
Ovviamente le fate sono la versione medievale delle Moire e non a caso il destino della principessa sarebbe stato legato proprio a un fuso. Il racconto fiabesco riecheggia l’antico mito:Lachesi avvolgeva il filo al fuso decretando il destino con fili bianchi e dorati, Cloto lo reggeva in modo da stabilire la linea che la vita avrebbe spontaneamente seguito, e Atropo lo tagliava, limitando così inesorabilmente il tempo a disposizione. I fili dorati erano determinanti per eventi e condizioni favorevoli, mentre, più lungo era il filo, più lunga sarebbe stata la vita.

ASTRA INCLINANT “ET” DETERMINANT

Secondo questo mito, dopo la nascita l’anima si “veste” di un corpo e di una personalità muovendosi come tale nel contesto che ha scelto e che solo in parte può modificare con la volontà.Nel pensiero platonico tutti gli esseri incarnati sono sottoposti ad Ananke (necessità), cioè alle leggi dell’esistenza fisica, che in gran parte ne condizionano l’esistenza. L’insieme di queste leggi naturali, ancorché in gran parte ancora scientificamente ignoto, è filosoficamente corrispondente alla necessità e a ciò che ordinariamente si chiama “destino”.
Per esempio la necessità obbliga, o comunque induce, ogni creatura incarnata a cibarsi, a riprodursi, a fare i conti con i limiti e i bisogni del proprio corpo(fisico e psichico) e con le circostanze, ma, sempre per fare un esempio, certamente non costringe nessuno a uccidere o a far del male scientemente ai propri simili.Qui deve essere fatta una prima distinzione tra l’identificazione nell’ego (il complesso della personalità individuale) oppure nel Sé (la Coscienza, l’essenza vera e profonda di ogni essere): chi si identifica nell’ego, cioè la maggioranza degli incarnati, sarà necessariamente più condizionato dalle necessità, vere o presunte.
Ne deriva la fondamentale importanza per le creature senzienti di saper riconoscere la vera natura dei propri desideri, pulsioni, scelte, distinguendo ciò che è necessario fare da ciò che è opzionale. E infineè importante saper eticamente distinguere, tra ciò che è opzionale, la scelta giusta da quella ingiusta.
Tra le stimate 35.000 scelte (quasi sempre meccaniche e inconsapevoli) che facciamo quotidianamente ce ne sono senza dubbio alcune che non sono negoziabili, ma tantissime altre potrebbero esserlo, se soltanto ne avessimo coscienza.
Qui sorge in tutto il suo immenso significato l’importanza della conoscenza, e quindi della divinazione, intesa come mezzo per superare la diffusa supponenza e l’ignoranza della realtà del divenire.
Da secoli strumenti come l’astrologia o la tarologia possono aiutare gli individui a limitare il potere del destino-necessità, che è assoluto solo nei casi di massima ignoranza.In questa prospettiva la cosa più utile da conseguire nel processo evolutivo è la consapevolezza.

I TRE TIPI DI KARMA

Ho sempre considerato le Moire come una terna simbolica analoga al concetto orientale di Karma.
Buona parte di ciò che so in merito lo devo al mio maestro indiano Ram Prakash Sharma Yogi, iniziato al Kabir Panth. Al di là della teoria della reincarnazione, che ai fini della comprensioneè indifferente adottare in modo acritico, occorre in ogni caso superare il concetto di tempo comunemente inteso, ricordando che i sensi lo percepiscono mobile nel suo scorrere ma che la coscienza potrebbe comprendere come un’immagine dell’eternità.
L’argomento è piuttosto complesso e non è possibile in questa sede analizzarlo, ma posso provare almeno a chiarire che cosa veramente si intende per Karma, cioè la legge di causa-effetto.
Innanzi tutto occorre specificare che esistono tre tipi di Karma, in qualche modo corrispondenti alle tre Moire.

Il Pralabd Karma è la conseguenza venuta a maturazione di tutto ciò che deriva dalle vite passate e che ha prodotto le condizioni della scelta dell’attuale vita. Potremmo chiamarlo fato o destino, ma queste sono parole che non amo, perché spesso sono fraintese nel pensiero comune. Si tratta comunque delle condizioni di partenza di ogni vita, dei fattori limitanti e condizionanti ormai immutabili che l’anima ha volontariamente accettato prima di incarnarsi. Per esempio le condizioni di nascita, ciò che si eredita non solo biologicamente della famiglia, l’etnia e il contesto culturale, lo stesso nome o le posizioni planetarie nello spazio-tempo della nascita sono segni dei fattori fortemente condizionanti e limitanti che fanno parte del destino, o, meglio, di quella parte del Karma sulla quale il soggetto non ha potere.Il Tema Natale astrologico è una rappresentazione simbolica di tale iniziale progetto di vita. Essendone il DNA una rappresentazione biologica, la prima conseguenza concreta del Pralabd Karma nella materia è il corpo umano. La cosa più importante da comprendere è che questa parte del Karma, dettata da necessità precedentemente determinatesi, può essere più o meno felicemente interpretata, ma non cambiata. Nella visione platonica è associabile a Lachesi, colei che assegna la sorte.
Il Kriyaman Karma è il Karma corrente, quello che stiamo producendo ed eventualmente accumulando proprio in questo presente (o in questa incarnazione, se si preferisce). I suoi effetti si manifesteranno in un prossimo futuro in questa stessa vita, ovvero (se ciò non fosse possibile) nelle successive. Per esempio la filosofia junghiana spiega che una problematica psicologica inconsciamente mantenuta nell’ombra spesso si manifesta all’esterno come evento nel momento in cui le circostanze lo consentiranno, cioè quando i transiti lo segnaleranno come possibile o probabile. La conoscenza e la consapevolezza non solo materiale della legge di causa-effetto, e la disciplina che ne deriva possono limitare la produzione di nuovo Karma che potrebbe rallentare l’evoluzione spirituale del soggetto. In Platone potrebbe corrispondere a Cloto, colei che fila.
Il Sinchit Karma è quella parte di Karma accumulata nel passato (o nelle vite passate), ma non ancora giunta a maturazione per avere effetti nella vita attuale. Le conseguenze delle cause prodotte nelle tante vite passate sono, infatti, innumerevoli, e pertanto non tutte hanno modo di manifestarsi nelle condizioni del presente. Anche su questi futuri effetti si può efficacemente operare nel presente con il discernimento (Vivek), con la conoscenza e la comprensione senza veli della realtà, che potrebbe rendere non più necessaria l’esperienza futura. Platone lo avrebbe associato ad Atropo, colei che taglia il filo e decreta l’inevitabile morte del corpo quando ha esaurito il suo tempo, consentendo però all’anima di proseguire il suo cammino evolutivo di esperienze necessarie.

Sia nella capacità di discernimento di origine orientale (Parakh Pad), che nel mito platonico di origine misterica orfica e pitagorica, la saggezza può far sì che ogni individuo si liberi dal fardello karmico del passato e si incammini su un sentiero di vita evolutivo e creativo, come fa il Matto dei Tarocchi (che inizia immemore e inconsapevole il suo percorso ciclico nella materia), senza inutili e pesanti bagagli mentali di errori fatti e di rimpianti. Da qui l’importanza per le anime del mito platonico di bere le acque dell’oblio del fiume Lete.
Ognuno ha sempre l’occasionedi agire su se stesso modificando il Kriyaman Karma e il Sinchit Karma, che rappresentano una rilevante parte di ciò che viene superficialmente chiamato ‘destino’. In particolareognuno può incidere consapevolmente sul Kriyaman Karma compiendo le proprie azioni senza avere attaccamento verso i risultati delle stesse, aderendo al volere del proprio Sé piuttosto che al Daimon del proprio ego, sacrificando, bruciando l’azione (Karma) con il fuoco della conoscenza (Jñâna). In questo caso i semi del Karma non germoglierebbero. Viceversa, l’azione priva di una tale conoscenza genera sempre ulteriore Karma in una ruota senza fine di azioni e conseguenze. Quando il Matto, nel proseguire sul suo cammino, arriva alla Ruota della Fortuna, si trova in un cerchio senza fine di trasformazioni.
Ciò che può fare la differenza è la consapevolezza di fare le scelte giuste nel momento opportuno, senza la quale esse finiranno inevitabilmente, in un modo o in un altro, per indurre il soggetto a seguire il solco tracciato dai condizionamenti e quindi per contribuire a realizzare quel progettodi vita che ordinariamente viene chiamato ‘destino’ e accettato come sentenza inoppugnabile dai fatalisti, dai deterministi e dai meccanicisti.

ASTROLOGIA E KARMA

Ecco che lo studio dell’astrologia e in particolare dei transiti può aiutare a sapere se, e soprattutto quando e come agire. Ovviamente intendendo sempre per ‘agire’ quell’azione consapevole delle conseguenze che è prerogativa soltanto di chi opera nel mondo con finalità creativa, ma senza aspettativa né desiderio egoico. In questa ottica anche il non agire sarebbe una scelta consapevole e non una passività deterministica: si tratterebbe in definitiva di saper attendere il momento più giusto, eventualmente calcolabile con i transiti planetari. Quindi conoscere i transiti può essere utile per conoscere il tempo più opportuno per l’azione volta a liberarsi dalla Ruota delKarma e non caricarsi di ulteriorifuturi obblighi.
Però, per il medesimo principio,l’immutabile destino di Lachesi (Pralabd Karma), che possiamo tradurre simbolicamente nel Tema Natale personale, sarà temuto solo dai fatalisti superstiziosi, poiché sarà sempre uno strumento evolutivo di crescita e di liberazione in prospettive spirituali e non ordinariamente e materialmente spazio-temporali. Va da sé che Lachesi – Pralabd Karma con la forza dell’attrazione spingerà il soggetto verso esperienze per lui necessarie, anche se non sempre piacevoli dal punto di vista personale.
Forse è sufficientemente chiaro a tutti che cambiare il presente sia nel nostro potere (anche se ben pochi lo fanno veramente), ma pochissimi hanno coscienza che una tale azione consapevole può parallelamente cambiare anche il passato e il futuro, poiché ciò che percepiamo come tempo è la proiezione mentale del mistero dell’eternità. Si ricordi anche che il flusso fenomenico (comprensivo di ciò che è simboleggiato dalle posizioni planetarie, sia di nascita che di transito) non ha alcun potere sulle risorse spirituali di ciascuno, ma riguarda soltanto la materia fisica.
In ogni istante ciò che noi stessi siamo in grado di fare, possiamo anche disfare.

IL TEMPO DELL’AZIONE

I transiti indicano i momenti della nostra esistenza nei quali siamo più disponibili a fare determinate esperienze, in concomitanza con il contesto esterno, che sempre rispecchia quello interiore. Infatti, in certi momenti ci sentiamo attratti, respinti, indotti, invitati a rispondere, con modalità variabilmente simili alle abitudini, ma comunque insite nel progetto di vita della presente incarnazione, rispondendo così alla legge universale di causa-effetto, ma confondendola con i sentimenti, la formazione, le credenze, le abitudini, gli attaccamenti, i desideri egoici.
Ciò che il Sé scelse di vivere di fronte alle Moire, durante certi transiti ha la migliore occasione di manifestarsi: la scelta è già stata fatta prima di nascere, la materia fu “in-formata” e ora si tratta di adempiere alla promessa fatta e di realizzare il fato, cioè il Pralabd Karma.
Ecco che lo studio dei transiti può diventareun esercizio evolutivoanche per accettare il manifestarsi del Karma maturato nei diversi tempi.
Ciò nonostante la sola conoscenza dei transiti più opportuni per agire potrebbe non risolvere il dubbio profondo di sapere se sia meglio opporsi alle condizioni che giudichiamo avverse oppure se quelle stesse condizioni siano dei limiti di fatto invalicabili in tutta la nostra esistenza. In altri termini rimane il dubbio se con un determinato transito siamo di fronte a una scelta già fatta e immutabile o a una scelta da fare, che presuppone libertà di azione.
L’Amleto shakespeariano si chiedeva correttamente se fosse preferibile soffrire le beffe di un destino avverso oppure levarsi in armi contro ciò che ci appare ingiusto per combatterlo nel tentativo di porvi fine.
Che cosa di ciò che accade possiamo accettare come necessario e cosa no?
Cosa è ascrivibile a Lachesi (Pralabd Karma), ed è quindi immutabile qualsiasi sforzo io faccia per oppormi?
Cosa invece attiene a Cloto e Atropo, e pertanto è ancora in pieno potere del mio arbitrio?
Ilsaggiofilosofo dovrebbe inoltre chiedersi: quali dei miei desideri sono autentiche motivazioni dell’anima e quali sono indotti dall’errore dell’identificazione con l’ego?
A questo dubbio non c’è una risposta univoca, anche se un approfondito studio astrotarologico può aiutare notevolmente in occasione di ogni scelta, per esempio analizzando il Tema Natale in sinergia con i transiti.
In ogni caso è sommamente utile sviluppare l’intenzione di superare le nebbie dell’ignoranza, come ci invita a fare la Preghiera della serenità del teologo Reinhold Niebuhr:

Signore, dammi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare quelle che posso, e la saggezza per distinguere la differenza.

Questo pensiero ermetico e neoplatonico è implicito in ogni grande opera esoterica del Rinascimento ed è stato recentemente decodificatodai tarosofi, trovando anche corrispondenze nelle opere di Carl Gustav Jung e di James Hillman. La rivalutazione degli archetipi all’origine dei miti, del potere evocativo e immaginifico dei simboli, dei codici occultati nei Tarocchi, del senso e del valore di identificarsi con il vero Sé, chiariscono il significato corretto da assegnare alla parola ‘destino’ e all’altrettanto frainteso concetto di Karma.
Tutto ciò rappresenta un punto nodale di ogni disciplina mantica e psicologica che deve essere chiaro nel modo più netto possibile, poiché è fondamentale nella formazione di chi si occupa professionalmente di astrologia o di Tarocchi; ma non è meno rilevante, nel processo di crescita evolutiva personale, il saper discernere tra i fattori limitanti e condizionanti la propria vita e le comunque numerose possibilità di cogliere le opportunità di uscire dalla Ruota del cosiddetto destino, cioè di saper sfruttare al meglio i transiti.

di Giovanni Pelosini

BIBLIOGRAFIA
Giovanni Pelosini, Tarocchi, gli Specchi dell’Infinito, Bologna, 2016