Dobbiamo reinventare la specie umana, o soccombere.
Dobbiamo riesaminare la storia e cominciare a recuperare alcune parti che
abbiamo messo da parte e cioè la terra, il corpo, il femminile e l’inconscio.
Marjia Gimbutas

I dati di nascita di Marjia Gimbutas sono controversi: sul database del sito www.astro.com l’orario di nascita dell’archeologa lituana è fissato per le 17. Questo porterebbe a un Ascendente Leone e a una Luna posizionata a 28° del Cancro, in 12a casa.

Secondo Mariagrazia Pelaia, che nel blog della Eridano School ha scritto di questo tema natale in un articolo dal titolo (Eris) – Xena è X-Proserpina?, andrebbe invece ipotizzata un’ora di nascita diversa, così da poter avere un Ascendente nel segno del Cancro e una Luna in I casa (che la Gimbutas avesse un ascendente Cancro è tra l’altro ciò che ricorda una sua ex allieva, Jean Marler).

In assenza di conferme in un senso o nell’altro, mi pare che, pur ipotizzando un Ascendente Leone, il tema natale di Marjia Gimbutas appaia perfettamente leggibile e ricco di suggestioni e rimandi puntuali alla sua biografia, almeno per quello che se ne conosce.

Marjia Gimbutas nacque a Vilnius, in Lituania, il 23 gennaio del 1921: aveva dunque un Sole a 3° dell’Acquario, in 6a casa.
A una prima occhiata, il suo tema colpisce per la disposizione dei pianeti, divisi in due gruppi ben identificabili e opposti che occupano ciascuno un emisfero del tema rispetto all’asse del Medio Cielo. Le opposizioni sono infatti gli aspetti più rappresentati, a partire da quella importantissima tra il Sole in Acquario in 6a e la Luna in Cancro in 12a.

Queste opposizioni movimentano essenzialmente due assi: quello, appena menzionato, della 6a/12a, e quello della 2a/8a. Il primo asse è interessato dall’opposizione Sole-Mercurio/Luna e dall’opposizione Sole- Mercurio/Nettuno; il secondo presenta invece l’opposizione tra Giove- Saturno in 2a e Marte-Venere in 8a.

Dall’analisi preliminare degli emisferi (superiore/inferiore e sinistro/destro), si nota che 7 pianeti su 11 sono posizionati al di sopra della linea dell’orizzonte, il che indica una decisa spinta a percorrere il proprio sentiero facendo leva più sulla propria capacità di costruirsi strumenti, abilità, filosofia di vita e valori che sulla tendenza ad avvalersi di ciò che è stato ricevuto dal proprio ambiente di nascita: è da notare che la Luna si trova nella porzione superiore del tema e il Sole è posizionato invece al di sotto della linea del Discendente.

La distribuzione tra emisfero sinistro e destro appare invece sostanzialmente equa, con una leggera predominanza di pianeti a destra (6 su 11: 4 di questi sono il Sole e i tre pianeti personali): il bisogno di essere riconosciuta e accettata dagli altri entra dunque in conflitto con il desiderio di non farsi condizionare dall’esterno sacrificando l’espressione autentica della propria personalità.

Sempre procedendo in questa preliminare analisi del tema, è possibile ravvisare una netta prevalenza di valori femminili su quelli maschili: 7 pianeti su 11 sono infatti posizionati in segni di energia femminile.

Questa dominanza è confermata anche dall’esame degli elementi, tra i quali l’Acqua è quello più rappresentato, con 5 pianeti; i rimanenti 6 si distribuiscono invece equamente nei tre elementi restanti.
Nell’analisi delle case, quelle Angolari sono rappresentate solo da Urano in VII; le case Succedenti e Cadenti si spartiscono in modo del tutto simmetrico i rimanenti pianeti. Questo parrebbe suggerire una mancanza di iniziativa, a vantaggio di una tendenza a stabilizzare l’energia, a darle struttura e forma e ad elaborare, metabolizzare e integrare il risultato dell’esperienza.
Anche nella suddivisione dei segni, quelli Mobili si mostrano come i più rappresentati (sono infatti occupati da 5 pianeti su 11), mentre i Cardinali e i Fissi ospitano ciascuno 3 pianeti.

Vorrei partire, in questa analisi, dall’opposizione tra i due luminari, che parla di una vera e propria scissione psichica tra coscienza e inconscio, parte attiva e parte ricettiva, energia maschile ed energia femminile e della conseguente necessità di un ribilanciamento, un tema tra l’altro sottolineato (come spessissimo accade) dalla presenza di un aspetto tra Venere e Marte (una congiunzione) e, a mio avviso, assolutamente dominante nella biografia di Marjia Gimbutas.

Questa celebre archeologa ha lottato molto per veder riconosciuta la sua decennale ricerca sulla civiltà della cosiddetta “Vecchia Europa”, un’area molto estesa e approssimativamente compresa tra l’Oceano Atlantico e gli Urali, tra il Mare del Nord e il Mediterraneo. Una ricerca che ha teorizzato – e, secondo lei, dimostrato – che il primo modello di civiltà nella storia (il modello, per così dire, “naturale”), sarebbe stato di tipo matrifocale, si sarebbe sviluppato in tempi remotissimi (molto prima delle civiltà a stampo patriarcale con le quali, fino ad allora, si faceva cominciare la storia), sarebbe durato circa 25.000 anni, giungendo al termine intorno al V millennio a.C. (con le invasioni provenienti dal Nord Europa di popoli guerrieri e nomadi) e avrebbe avuto al suo centro il culto della Grande Madre, identificata con la Natura.

Questa civiltà, agricola, stanziale e del tutto pacifica, il cui principale impianto sarebbe stato dunque religioso e non economico, si sarebbe basata su una struttura sociale matrilineare; questo non significa affatto che ci fosse una qualche forma di dominazione femminile a danno dell’elemento maschile, ma che l’organizzazione sociale si sarebbe indubitabilmente fondata su valori eminentemente femminili e dunque avrebbe prodotto un contesto di rapporti paritetici basati sull’integrazione, l’interazione e la cooperazione tra i due sessi, che avrebbero pacificamente collaborato alla costruzione di una società basata sull’accudimento e la protezione, l’inclusione sociale e l’equa distribuzione delle risorse.

Le implicazioni di questa teoria sono molte e complesse: oltre alla vertiginosa retrogradazione nel tempo dell’inizio della storia della civiltà, viene contestato l’assunto secondo il quale qualunque forma di aggregazione umana organizzata si basi necessariamente sulla dominanza della cultura sulla natura, su un impianto sociale rigorosamente gerarchico e quindi, fatalmente, iniquo (perché fondato sulla sperequazione sociale, economica e di genere), e trovi nella guerra, di difesa o di attacco, lo strumento privilegiato per garantirsi la sopravvivenza e per gestire il conflitto.

La Gimbutas, infatti, sosteneva che la sua ricerca aveva dimostrato come fosse stato possibile, agli albori della storia, creare una civiltà improntata a valori e princìpi femminili e nondimeno fiorente, articolata (con insediamenti umani organizzati anche di 15.000 abitanti!), capace di produrre una qualità della vita talmente alta da potersi permettere di creare un sistema religioso complesso e di esprimersi in forme artistiche che celebravano un profondo senso di unità con il tutto, con raffinatezza e un preciso e sicuro senso estetico. Una civiltà per molti versi decisamente più avanzata di quella a forte impianto patriarcale e guerriero che, al tempo dell’Età del Bronzo, finì per distruggerla.

Analizziamo per prima cosa il Sole, che è in Acquario in 6a casa (la nota acquariana è sottolineata dal semisestile al grado con Urano) e congiunto a Mercurio: è il Sole di una persona la cui coscienza è fortemente connotata da valori razionali e al tempo stesso pragmatici, con una vivacità e una curiosità intellettuali notevolissime, che trova nel lavoro, nel servizio e nell’affinamento quotidiano e costante delle proprie risorse e competenze il senso della propria vita ed il cui approccio a quest’ambito è al tempo stesso mercuriale-virgineo ma anche acquariano. Marjia Gimbutas sembra aver conciliato entrambe queste due dimensioni: le sue ricerche si presentarono fin da subito con un alto contenuto di originalità e di innovazione ed ebbero un impatto quasi scioccante sul mondo accademico che fece fatica ad accoglierne le implicazioni più rivoluzionarie e di rottura, tant’è vero che ancora oggi sono oggetto di un acceso dibattito – ma furono condotte con modalità anche assolutamente virginee: il suo metodo di lavoro era infatti estremamente rigoroso, dettagliato, minuzioso, quasi maniacale nel catalogare, archiviare e organizzare una mole quasi infinita di dati e reperti; la sua capacità di lavorare indefessamente e con indefettibile concentrazione, quasi leggendaria.

Questo a me pare trovare conferma anche nell’analisi della sua X casa, la cui cuspide è in Ariete, ma solo per 9 primi e dunque, molto probabilmente, è in realtà nel segno successivo del Toro, con i suoi valori improntati alla pazienza, alla concretezza, alla resistenza, alla costanza, e alla necessità di ottenere risultati materiali tangibili) e si sviluppa poi, nella sua ultima parte, in quello dei Gemelli (la Gimbutas pubblicò una mole considerevole di articoli e libri e tenne innumerevoli conferenze per presentare e divulgare il più possibile i risultati della sua ricerca).

L’archeologa lituana fu non solo un’instancabile lavoratrice che con metodo, costanza e ferrea disciplina si dedicò a molti scavi archeologici, ma fu anche un’infaticabile catalogatrice di reperti. Dimostrò questa sua attitudine fin da giovane quando, appena 15enne, nel programma della scuola privata fondata dai suoi stessi genitori, per una ricerca etnografica raccolse e catalogò più di 5000 canti tradizionali contadini lituani.

Amava moltissimo il lavoro di scavo, perché questo dava sostanza e conferma alla sua vastissima e articolatissima formazione scientifica e intellettuale; più in generale, amava il contatto con la terra e spronava tutti i suoi allievi a lavorare il prima possibile sul campo e non solo in biblioteca, per non perdere il contatto concreto e vivo con ciò che studiavano. Questo rimando a quel Toro in X casa si colora di una sfumatura ulteriormente taurina: i numerosissimi reperti su cui la Gimbutas appuntò la sua scrupolosa attenzione erano per lo più statuette (la vista e la scultura sono entrambe associate a questo segno).

A questo metodo di lavoro disciplinato e sistematico, univa anche una straordinaria capacità di sintesi, che alcuni studiosi hanno definito “olistica” e altri “intuitiva e femminile” (e che non pochi hanno accusato di scarsa scientificità): quel Mercurio in Acquario in 6a casa opposto a Nettuno e alla Luna in 12a in Cancro parla di una mente che, non senza qualche difficoltà (riceve anche un quinconce da Plutone), si muove tra pensiero logico-causale e pensiero analogico-simbolico.

Fu forse questo binomio che diede alla sua ricerca un amplissimo respiro, consentendole di ordinare cronologicamente migliaia di reperti provenienti da centinaia di siti europei e al tempo stesso, grazie alla multidisciplinarità del suo approccio, di scorgere le correlazioni, i rimandi, gli echi, il sostrato profondo che li accomunava tutti, trasformando questa enorme varietà e quantità di materiale da vagliare e studiare nelle tessere di un grandioso puzzle.

Nelle sue mani, l’archeologia si trasformò in “archeomitologia”: da scienza basata sulla statistica, sulla datazione e catalogazione dei reperti, divenne ricostruzione di un sistema religioso, di pensiero e di valori – un’impresa ardita, soprattutto se si considera che il campo di interesse della Gimbutas fu sempre la preistoria, quel lungo periodo della storia umana non ancora illuminato dalla luce della scrittura, l’unico strumento che, secondo gli studiosi, permettesse di ricostruire in modo fedele e autentico i sistemi religiosi e sociali dell’antichità.
Quel Sole in 6a in Acquario, reso particolarmente forte da un semisestile al grado con Urano in Pesci e dal quinconce con Plutone in Cancro in 11a, fa pensare anche a un approccio “sociale” al suo lavoro, vissuto con spirito di servizio e sicuramente con forti connotazioni ideali, come se la Gimbutas lo inquadrasse in un contesto più ampio al quale volesse dare un proprio contributo utile, in visione di una profonda trasformazione ed evoluzione del collettivo.

In effetti, era fortemente convinta che la riscoperta di un modo diverso di creare una civiltà – il primo che l’umanità avesse elaborato – potesse contribuire a un necessario e non più procrastinabile risveglio delle coscienze, il cui scopo era quello di (ri)costruire un mondo migliore, basato, come in quei tempi lontani e felici, su una visione della società improntata alla cooperazione e alla cura reciproca, alla convivenza pacifica non solo tra i sessi, ma anche tra le comunità e con la natura. Per farlo, era necessario ripensare il concetto di maschile e femminile e recuperare quell’antica visione della possibilità di una loro armoniosa integrazione, tornando a dare valore a tutto ciò che in millenni di dominio patriarcale era stato svalutato e schiacciato in quanto femminile.

A questo punto, può essere interessante cercare di capire in che modo, nel tema natale e nella vita della Gimbutas, si siano espressi i due archetipi del maschile e del femminile in relazione alle due figure genitoriali.
Sappiamo che nacque da genitori a loro modo eccezionali, due individui complessi e portatori di un’abbondante dose di idealismo e di anticonformismo per l’epoca in cui vissero.

Entrambi appartenevano all’alta borghesia di Vilnius (anche se la madre era di origini contadine) ed erano medici: la madre era stata la prima donna lituana ad essersi laureata come medico oculista (ed è difficile non pensare a quel MC a 29°51′ dell’Ariete, il segno degli apripista e dei pionieri, che poi si dispiega nel Toro, tradizionalmente associato alla vista!).

Tutti e due convinti sostenitori della causa dell’indipendenza del loro paese (che, al momento della nascita di Marjia, era sotto la dominazione polacca), decisero di mettere le loro competenze e le loro risorse professionali e umane a servizio delle fasce più vulnerabili della società, i contadini, fondando il primo ospedale lituano a Vilnus, dove prestavano gratuitamente assistenza medica, e una scuola, attraverso
la quale tentavano appassionatamente di difendere la cultura e le tradizioni del loro paese.

Entrambi i luminari sono in contatto armonico con Saturno (forte della sua posizione in Vergine): il Sole è largamente in trigono, la Luna in sestile. Questo parla di un’eredità genitoriale fatta di disciplina, serietà, autonomia, struttura, duro lavoro – valori cui la giovane Marjia si conformò forse senza grandi tensioni, dati gli aspetti armoniosi di cui sopra, ma che comunque delineano il ritratto di quei tipici genitori che passano ai propri figli, anche quando sono molto piccoli, il classico messaggio “prima il dovere, poi il piacere”.

Il largo trigono tra il Sole e Saturno si sviluppa tra la 6a e la 2a casa, come se le risorse ereditate dall’ambiente fossero state vantaggiosamente trasferite nell’approccio al lavoro. Troviamo dunque un contesto familiare certamente agiato (in 2a casa c’è anche Giove), in grado di offrire ciò che è necessario e giusto per la crescita, ma improntato anche a una grande sobrietà e serietà, severo e di stampo quasi calvinista; un ambiente per certi versi nutrente anche se di sapore virgineo, dunque solido e sicuro, ma probabilmente non particolarmente morbido né accogliente, dominato da ideali di efficienza, laboriosità, pragmatismo, modestia di costumi, spirito di servizio e sacrificio.

La Gimbutas ricordava i suoi genitori come due persone perennemente al lavoro. Nel documentario Signs Out of Time (realizzato da suoi amici e collaboratori a 10 anni dalla sua scomparsa), una sua cugina definisce i genitori della studiosa come due persone “non orientate sul privato, sul personale, ma con una forte vocazione al servizio, soprattutto dei poveri contadini. Questo fu lo spirito che Marjia respirò fin da piccola”. Come non ravvisare in questo ritratto quel Sole in 6a e quella Luna in 12ª?

La parte materna del femminile, si esprime, nel tema, con una Luna nel segno di cui è signora, il Cancro. Si tratta quindi di una Luna potentissima, nel segno che esprime al meglio le sue principali caratteristiche di contenimento e nutrimento emotivo, ma assume – in 12a casa – una forte sfumatura impersonale, una vocazione a esprimere tutto il proprio enorme potenziale materno su un piano che trascende sia i rapporti a due sia i rapporti familiari, per aprirsi a una dimensione superiore, dalle forti valenze spirituali, tesa a risanare e ad armonizzare tutto ciò che nel più ampio sistema della totalità è sentito (in maniera sottile e insieme profondissima) come fuori asse e non integrato.

Il sestile con Saturno in Vergine non avrà per altro aiutato questa Luna a esprimere la sua parte più bambina, e dunque emotiva, bisognosa, dipendente, ma l’avrà senz’altro messa in condizione di dare concretezza ed efficienza al suo bisogno di nutrire ed essere di servizio agli altri, rendendola sempre pronta a mettersi da parte per fare quello che riteneva il proprio “dovere” – che è anche un modo tra i più efficaci di non affrontare la propria vulnerabilità, occupandosi, con spirito oblativo ma pragmatico, di quella altrui.

Quella Luna in 12a e in contatto con Saturno fa pensare anche che per la piccola Marjia sia stato difficile, se non impossibile, sentire la madre come veramente presente e solo per lei, che sia stata persuasa fin da bambina della necessità di crescere in fretta e di diventare emotivamente autonoma (opposizione sull’asse 2a/8a e Saturno in 2a), che sia stata costretta a “sacrificare” la madre a vantaggio di chi ne aveva, per così dire, molto più bisogno di lei.

La studiosa ricordava come, da piccola, fosse solita trovare grande conforto nel contatto con la natura e nel frequentare, di nascosto dai genitori e in perfetta solitudine, le numerose chiese barocche della sua Vilnius: come non vedere in tutto ciò due potenti e simboliche manifestazioni di un materno sostitutivo?
Non è allora difficile comprendere come la Gimbutas si sia mossa, come pare, nel solco del modello offertole dalla madre, riproponendo a sua volta, con le sue tre figlie, il medesimo copione, quello della madre emotivamente poco presente.

In un’intervista riportata nel documentario su citato, rievocando i suoi primi anni nel mondo accademico, la studiosa affermava, con una certa mestizia, di aver lavorato moltissimo e di esser dovuta ricorrere a “centinaia di baby sitter”, e ricordava quanta fatica (e, è forse lecito aggiungere, quanti sensi di colpa) le fosse costata tentare di conciliare la vita familiare con quella professionale.

Il ricordo che di lei tratteggia una delle sue figlie delinea una figura materna estremamente stimolante dal punto di vista intellettuale, ma alle cui qualità più squisitamente emotive e affettive non si fa il minimo accenno. Questo parrebbe confermato, nel tema, dalla 5a casa, che si sviluppa tra Sagittario e Capricorno, e parla di un rapporto educativo con la prole certamente improntato alla stimolazione intellettuale, all’apertura di orizzonti mentali, ma anche severamente normativo, probabilmente per incoraggiare l’acquisizione di quella precoce autonomia emotiva che anche a lei era stata richiesta nell’infanzia. Non c’è infatti indicatore che faccia pensare a una madre emotivamente contenente e nutrente.

La figlia ricorda come in casa non ci fosse la TV e di come la sera la famiglia si riunisse in salotto per leggere, studiare o discutere con i molti intellettuali lituani spesso ospiti (la Gimbutas, come i suoi genitori, fu infatti molto attiva, con il marito, nella promozione e nella difesa della cultura lituana, allora oppressa dalla perdurante invasione sovietica).

La X casa parte a 29° 51’ dell’Ariete, poi si sviluppa quasi interamente in Toro per terminare in Gemelli: le suggestioni sono tante e diverse e suggeriscono una figura materna vigorosa, energica, dinamica, con un lato intellettuale e brillante, ma anche estremamente pratica, radicata nella dimensione terrena, dotata di grandi risorse di resistenza e di forza fisica, calorosa e nutrente.

La Gimbutas parlava di sua madre come di una donna pragmatica, organizzatissima, che lavorava moltissimo e al tempo stesso riusciva a “tenere tutto nelle sue mani”, le cui migliori energie e il cui tempo erano quasi del tutto dedicati all’ospedale e alla scuola fondati col marito. Vien da pensare che questa donna fosse troppo impegnata nell’essere la madre delle tante persone che le si rivolgevano in cerca di aiuto per poter essere realmente solo la mamma della piccola Marjia, (cui di sicuro non avrà mai fatto mancare ciò che era strettamente necessario, efficiente come pare essere stata), ma che è lecito dubitare le abbia prodigato quelle attenzioni, quelle rassicurazioni, quelle continue manifestazioni di affetto e di protezione che una Luna in Cancro desidera tanto – e sempre. Inoltre, l’opposizione sull’asse 2a/8a che coinvolge Giove e Saturno da una parte con Marte e Venere dall’altra, fa pensare a una fase di attaccamento che può anche essere iniziata nel migliore dei modi (Giove in 2a) ma si è poi chiusa bruscamente e precocemente, probabilmente per l’esigenza della madre di tornare il prima possibile al lavoro.

È interessante notare, tra l’altro, che il pianeta governatore di quel MC in Ariete è un Marte in Pesci in 8a casa, il guerriero compassionevole, che lotta non per scopi egoici ma per grandi e nobili cause, e mette tutte le sue energie affermative a servizio degli altri.

Ecco così richiamata in causa la Luna in 12a, assorbita da orizzonti vertiginosamente lontani dall’ambito familiare, con quella sfumatura impersonale, volta al servizio, che sradica l’espressione delle proprie capacità nutrenti dal contesto ristretto del proprio mondo privato, per poter offrire un contributo al collettivo, colorandosi anche di una nota spirituale e sacrificale (non c’è alcun aspetto con Nettuno – se non una ben larga congiunzione di 14° – che pure dimora insieme a lei nella propria casa, la 12a).

Probabilmente, non fu senza pagare un qualche prezzo (magari solo inconscio) che la madre della Gimbutas rinunciò a incarnarsi del tutto nel ruolo di madre della sua bambina, per poter seguire quella chiamata al servizio che evidentemente sentiva fortissima.

La Luna è anche in quinconce a Urano, e parla dunque di una madre percepita come latitante dal punto di vista del contenimento emotivo e dell’intimità fisica anche perché perennemente assorbita da attività e interessi che sembrano essere di maggiore soddisfazione e realizzazione per lei.

Questo è un tratto che ritroveremo anche nel padre, se è vero che il Sole in Acquario è interessato da quel semisestile perfetto con il suo governatore in VII casa; l’impressione è, dunque, che entrambi i genitori vivessero con un certo disagio l’idea convenzionale della relazione e della famiglia, essendo così segnati dal bisogno di essere concretamente impegnati socialmente e politicamente a servizio del loro amato paese, ma che fosse soprattutto la madre a vivere questa dinamica in modo più problematico (visto che la Luna è in quinconce con Urano in VII, mentre il Sole è interessato da quel più blando e armonioso semisestile). Questo è del tutto comprensibile se si considera che a lei era comunque demandata, oltre all’impegno sociale e professionale condiviso con il marito, anche l’intera organizzazione della vita domestica (per la quale era comunque perfettamente strumentata, dato quel Toro in X e il sestile tra Luna e Saturno), da cui sicuramente lui era esentato, in quanto uomo.

Io penso sia necessario anche fare un’ulteriore (anche se forse banale) riflessione riguardo alla madre e cioè che, benché facesse parte di una coppia per quei tempi inusuale, era comunque una donna e una madre: il sacrificio di un rapporto emotivamente profondo con i figli che la sua forte tensione ideale le richiese, avrà avuto tutto un altro peso su di lei e sarà stato vissuto, immagino, in modo molto più tormentato di quanto possa essere stato vissuto dal padre, perché, è vero in molti casi
persino oggi, dal padre non ci si aspetta quell’intima relazione con la prole che invece sembra essere tuttora richiesta a qualunque madre.

L’impressione è che questa donna sia ricorsa a un potente ed inconscio meccanismo di sublimazione, incarnando il ruolo di madre al di là, come dicevo, della sfera domestica e familiare, e questo perché aveva un bisogno enorme di sentire realizzato il suo lato materno, ma senza le complicazioni emotive che probabilmente un rapporto intimo con i figli avrebbe ingenerato in lei e che – a giudicare dagli aspetti che la Luna riceve in questo tema – le avrebbero causato un grande disagio.
La stessa identica dinamica è ravvisabile, a mio avviso, anche nell’esperienza personale della Gimbutas, che fu una madre per lo più emotivamente (e spessissimo anche fisicamente) assente per le sue figlie, a dispetto di quella potentissima Luna in Cancro.

Nella ricerca inconscia della madre accogliente e nutrente che non aveva mai avuto, la Gimbutas finì per trovare la Grande Madre (un archetipo che in lei risuonava potentemente) e, anzi, stando ai suoi detrattori, a volerla vedere anche dove non c’era, tanto coercitivo e potente era forse il desiderio inconscio di trovarla; i critici della sua teoria, infatti, la accusarono di “manipolare” e forzare i dati su cui lavorava pur di far quadrare il cerchio della sua grande costruzione teorica (e qui vien da pensare a quel Mercurio in aspetto dinamico a Nettuno, Luna e Plutone, che ha forse avuto un rapporto a volte offuscato con la realtà). Non solo: come già era stato per sua madre, anche la Gimbutas finì, a sua volta, per assumere in qualche modo un ruolo materno più per una collettività di “figli” che per le sue figlie, finendo, anche lei, per non essere la madre personale, reale ed emotivamente nutrente e presente che avrebbe potuta essere.

Se per molti la Gimbutas divenne dunque una “madre”, è vero anche che ella trovò la sua in quell’antica concezione del divino che la sua teoria aveva ricostruito: basta leggere i suoi libri o ascoltare delle interviste per rendersi conto di quanto appassionato e tenero amore filiale provasse per la Grande Madre.

C’è da dubitare che la Gimbutas sia stata un’interlocutrice particolarmente attenta e sensibile per i bisogni emotivi delle sue bambine, perché a sua volta non le era stato concesso di essere pienamente figlia, non aveva trovato in sua madre una risposta coerente con i suoi bisogni emotivi più profondi, che con quella Luna in Cancro in 12a parlano di una potentissima tendenza regressiva a dipendere dalla figura materna, una tendenza vissuta in modo del tutto inconscio, perché avvertita subito come inopportuna e inaccettabile in un contesto familiare tutto improntato al lavoro e al servizio disinteressato nei confronti degli altri.

Del resto, quella stessa Luna in Cancro si trova in opposizione a Mercurio e questa combinazione parla proprio di bisogni emotivi profondi e irrinunciabili rimasti non decodificati dalla madre, e dunque frustrati e ricacciati nell’inconscio della 12a casa. Confermerebbe questa lettura quell’asse 2a/8a battagliato dalle opposizioni che si sviluppano tra la congiunzione in 2a di Giove e Saturno e quella in 8a di Marte e Venere, che suggerisce, lo si diceva prima, una fase simbiotica probabilmente mai pienamente vissuta: la 2a casa è in Vergine, il che fa pensare alla mancanza di un contatto intimo, profondo, naturale, appagante e rassicurante con il corpo materno; questo può aver portato la piccola Marjia a non aver percepito, da parte della madre, quel senso di incantata seduzione che dovrebbe essere la risposta di ogni madre ai primi tentativi da parte del bambino di creare il legame speciale che viene definito “attaccamento”; se in questa fase il bambino non sente di piacere alla propria madre e di non avere, per lei, un valore, farà fatica ad attribuirsene uno e a costruirsi, dunque, una sana autostima.

Del padre, Marjia Gimbutas sembra aver avuto un ricordo maggiormente connotato dall’emozione e dal sentimento: il Sole in Acquario opposto a Nettuno in Leone rimanda a una figura paterna in cui torna, forte, il tema del servizio come vocazione (come già ravvisato nell’analisi della figura materna), ma anche lo spirito riformatore e utopistico tipicamente uraniano.

Questa combinazione suggerisce, però, anche una qualche lotta tra una parte cosciente che, su basi razionali, pensa di dover essere in modo concreto un agente di cambiamento positivo in una società che si sogna essere composta di individui diversi ma tutti con gli stessi doveri e le medesime opportunità e possibilità di offrire ognuno il proprio personale contributo, e una parte nient’affatto razionale che invece ha forse la tentazione di fare di questa tensione ideale, che si vorrebbe aliena da qualunque personalismo e individualismo, il mezzo per soddisfare un personalissimo bisogno di splendere e di vedersi riconosciuto dagli altri nel ruolo superiore del salvatore generoso, magnanimo e nobile (Nettuno in Leone).

Non è da sottovalutare, in questo senso, il contributo che a questa complessa dinamica può aver dato anche quel Plutone in Cancro 11a casa, che con il Sole forma un quinconce e che parla di un lato oscuro, intenso, potente ma anche potenzialmente distruttivo del paterno e del maschile, la tentazione di esercitare una forma di potere sul collettivo, sfruttando un innegabile carisma, una capacità di sintonizzarsi fortemente e profondamente sulle vibrazioni emotive e sulle pulsioni più inconsce degli altri, quelle che parlano del bisogno di protezione e di sicurezza, sfruttando a tal fine anche potenti e seducenti capacità comunicative (quinconce Plutone-Mercurio) – vale a dire, una manipolazione coi fiocchi, qualcosa di inconcepibile per un Sole acquariano.

Chissà se il dottor Gimbutas fu consapevole di questa contraddizione interiore, se cercò di venirne a capo o se ne fece inconsciamente tormentare – cosa probabile, se è vero che l’intero segno dello Scorpione è compreso nella IV casa. Di sicuro c’è che la figlia ereditò questo dilemma (che con un Ascendente Leone deve essere stato particolarmente forte) e si ritrovò alle prese con il medesimo compito di far luce su questo lato tanto oscuro del padre e del suo maschile (e il Nodo Lunare in Scorpione in IV quadrato al Sole e il contatto dinamico tra Sole e Plutone sembrano confermarlo).

Come spesso accade in caso di aspetti Sole-Nettuno, c’è, oltre a un grande amore per la figura paterna, una buona dose di idealizzazione, che è quasi sempre una risorsa cui si ricorre per colmare un qualche vuoto; si sa per certo che, come la madre, il padre della Gimbutas era molto spesso fisicamente assente.

Sempre occupatissimo anche lui nella sua molteplice veste di medico, storico, insegnante, editore e attivista per l’indipendenza lituana, cosa che lo obbligava a trascorrere gran parte del suo tempo fuori casa, la Gimbutas ne ricordava la natura passionale e intensa (Scorpione in IV casa e Sole-Plutone) e il grande amore che le aveva sempre manifestato: è stato pensando a lui (o all’idealizzazione della sua figura?) che la Gimbutas ha potuto definirsi “una bambina privilegiata” che sentiva intorno a sé una grande “abbondanza d’amore” (espressioni che non tornano mai quando a essere rievocata è la figura materna).

Si delinea, così, una complessa situazione psichica, in cui al maschile di ascendenza paterna viene riconosciuta, a livello conscio, una valenza nutrente e affettiva di chiaro stampo materno, una qualità calorosa e amorevole, mentre il femminile ereditato dalla madre assume sfumature decisamente maschili di dinamismo, pragmaticità, volitività e brillantezza mentale, ma anche di freddezza e distacco emotivo.

È chiaro dunque che nella sua vita, la Gimbutas ha finito per sentirsi vicina, a livello cosciente, più al padre che alla madre (a quel padre cui la univa anche quella personalità intensa e inquieta che da lui aveva ereditato), ma al tempo stesso, avendo rimosso da entrambi gli archetipi gli aspetti più difficili da integrare (la sfumatura potentemente invischiante e manipolatoria del paterno, inaccettabile per una coscienza acquariana, e una reale e profonda capacità nutrente materna, che però le era stata negata e dunque era associata a una profonda sofferenza), ha “ideologicamente” proiettato sul maschile qualità decisamente oppressive, violente, negative e, di converso, ha investito il femminile di un potente ruolo salvifico, consolatorio e positivo.

Del resto, è la Luna a trovarsi in Cancro, anche se in 12a casa, non il Sole; quelle qualità di intenso nutrimento e contenimento materno le possedeva in realtà la madre, non il padre (e questo è confermato da quel Toro in X casa) e la sensibilità acutissima e profonda della piccola Marjia non può non averlo sentito; è solo che la madre non poté viverle, non poté agirle nel suo rapporto con la sua bambina, nel cui inconscio rimasero sepolte – riemergendone, anni e anni più tardi, incarnate nella grandiosa costruzione della Grande Madre.

Una vera e propria scissione, in cui gli archetipi del maschile e del femminile finiscono per assumere l’uno le caratteristiche dell’altro, e viceversa, a seconda che vengano vissuti a livello della coscienza o dell’inconscio (e si pensi a quella congiunzione Marte-Venere in Pesci in casa 8a, per aggiungere ulteriore complessità al quadro). Quell’opposizione Sole-Luna non deve essere stata di facile lettura per la Gimbutas, né deve essere stata facile da integrare (se mai lo è stata), e si è probabilmente risolta in una difficile oscillazione tra i due archetipi, tra la parte cosciente e la parte inconscia.

È interessante notare che, nel su citato documentario, questo grande sentimento di amore paterno viene stigmatizzato dalla Gimbutas in un commovente ricordo della sua infanzia, di quando, seduta sulle ginocchia del padre, nel suo studio, egli le aveva insegnato a leggere, usando i giornali e le riviste di cui era un appassionato lettore –
un’esperienza che, dato quel Sole in Acquario congiunto a Mercurio, deve essere stata fondante per l’identità della piccola Marjia.

Al padre la Gimbutas dovette sicuramente il grande amore per la cultura popolare lituana. Finite le scuole elementari, infatti, la futura archeologa proseguì i suoi studi nella scuola fondata dai suoi stessi genitori (che non desideravano che la loro bambina venisse educata in un sistema scolastico totalmente asservito e manipolato dagli invasori polacchi), dove le fu trasmesso l’amore e la conoscenza della cultura locale.

Studiò così le leggende, il folklore, i miti e i riti della civiltà contadina, appassionandosi profondamente a un mondo cui non apparteneva né per nascita né per rango sociale, ma di cui avvertiva tutto il fascino e la “sana” forza, un mondo in totale sintonia con i cicli naturali, che non aveva perso il contatto diretto, insieme amorevole e di reverente rispetto, con quella terra che, ogni mattina all’alba e ogni sera al crepuscolo, i contadini lituani si chinavano a baciare, in un gesto insieme di familiarità e devozione.

La morte del padre, avvenuta quando Marjia aveva 16 anni, nel 1937, fu per lei un trauma dolorosissimo, ma anche una svolta che avrebbe avuto profonde ripercussioni sul suo destino professionale. Non conosco la data esatta del decesso, ma è interessante notare che durante tutto il 1937 Plutone fece un potentissimo transito di congiunzione alla Luna e di opposizione al Sole, movimentando l’asse 12a/6a.

Nel tentativo di comprendere e metabolizzare quella che per lei era stata una perdita terribile, abbandonò l’interesse fino ad allora concentrato sul folklore contadino e cominciò a interessarsi al tema della morte e soprattutto a come essa si inserisse nel ciclo vitale fatto di nascita, crescita, morte – appunto – e rinascita.

A quel periodo si deve dunque far risalire l’inizio di un interesse profondo per i riti di sepoltura nelle culture slave, che porterà la Gimbutas a scrivere, al termine dei suoi studi, una tesi sull’argomento: sarà l’unica cosa a portare via con sé nel 1943 quando, insieme al marito e alla loro prima figlia, lasciò la Lituania per rifugiarsi prima in Austria e poi in Baviera: partì così, con la bambina in braccio da una parte e la tesi infilata sotto l’altro braccio dall’altra – e niente di più.

In quel momento cominciò anche un lungo esilio durato 25 anni: la Gimbutas, infatti, poté far ritorno nella sua amatissima terra natale solo nel 1968, quando, per un breve periodo, tenne un ciclo di conferenze all’università di Vilnius: il regime sovietico invasore non apprezzava affatto le ricerche sul folklore e sulla cultura lituana della Gimbutas e il suo noto e attivo indipendentismo, e le negò per tutti quegli anni il permesso di tornare nel proprio paese.

Difficile non riconoscere il tema dell’esilio in quella Luna in Cancro in 12a casa, che parla di un legame fortissimo con la madre patria e con l’infanzia, entrambe fuse in un’unica immagine materna intrisa di struggente e nostalgica lontananza. Alla Lituania/madrepatria/mondo dell’infanzia, la Gimbutas tornava ogni volta che sentiva il peso del suo percorso di vita. Proprio in occasione del suo ultimo ritorno in Lituania, nel 1993, all’Università di Kaunus la Gimbutas pronunciò queste parole: “Ci sono difficoltà quando si percorre un sentiero da indipendenti. Non bisogna cedere, non bisogna allontanarsi dal proprio percorso. Allora si cerca una sorgente di forza, una fonte di vita. Per me questa fonte è sempre stata rappresentata dalla Lituania e dalla mia infanzia”.

Per completare l’analisi dei due assi maggiormente movimentati del tema, manca uno sguardo sulla casa 8a, quella delle risorse personali nascoste, dove troviamo Marte e Venere congiunti in Pesci, entrambi in opposizione a Giove e Saturno. È qui espresso lo stesso conflitto rappresentato da quell’opposizione Sole-Luna su cui mi sono soffermata all’inizio.

Ci sono infatti due forze confliggenti: c’è una parte femminile che ricerca, in modo passionale, viscerale e profondo, quell’intimità e quella nudità assolute dell’anima che vuole una Venere in casa 8a, che però, essendo in Pesci, può essere stata vissuta, al tempo stesso, come un intenso desiderio inconscio di fusione perfetta e idilliaca non tanto nelle relazioni intime, quanto nel rapporto con il divino, con la totalità, con la parte più profonda e sacra di sé; dall’altra, c’è una parte maschile e assertiva che proprio nell’intimità vede un pericolo, il rischio di rimanere invischiata in una regressione fusionale e di essere ferita dal rifiuto, e dunque con una spinta marziana, resa particolarmente forte da un trigono con Plutone, tende a sganciarsi da qualunque desiderio troppo intenso, forse per affermarsi invece nel servizio a una dimensione superiore collettiva (Marte in Pesci e Plutone in 11a).

Il tema pare dunque di nuovo insistere sulla problematica di base: c’è una natura emotiva profondissima, regressiva e inconscia, che desidera sentirsi perfettamente integrata e protetta, in comunione e in stato di intensa fusione (con la madre, con l’altro, con il tutto), ma i cui bisogni sono stati probabilmente ritenuti imbarazzanti e inappropriati dall’ambiente familiare, o sentiti comunque pericolosi per la propria individuazione, e dunque sono stati rifiutati a vantaggio di una parte assertiva e cosciente che ha diretto tutta questa enorme quantità di energia repressa verso il lavoro e il servizio.

Tra l’altro, non bisogna dimenticare che se questo è anche il quadro offerto dalle relazioni intime, esse saranno state particolarmente messe a dura prova anche da quella VII casa tra Acquario e Pesci in cui dimora Urano, governatore del Sole: qui tutto parla di una visione delle relazioni talmente improntata all’ideale e alla perfezione, da rendere quantomeno ambiziosa, se non impossibile, una sua completa e perfetta realizzazione sul piano umano. C’è infatti il bisogno di libertà e di pariteticità, di sentire l’altro come un compagno e di avere con lui una perfetta corrispondenza e sintonia, mentale e spirituale; di trovare nel rapporto a due il luogo in cui esprimersi in modo libero, autentico, anche se questo significa non conformarsi alla comune idea di che cosa sia una “relazione”.

C’è inoltre anche la spinta spirituale dei Pesci, quel vivere nel rapporto a due con lo sguardo sempre perso nelle infinite e sublimi lontananze dell’amore universale, e quindi con una perenne inquietudine, con una sottile ma profonda e costante insoddisfazione. Come dire che la Gimbutas chiedeva veramente tanto ai rapporti – chiedeva loro, fondamentalmente, di fare da tramite alla relazione, intensa, profonda, totalizzante, mistica e fusionale, con la totalità. Se poi si aggiungono le opposizioni che Giove e Saturno dalla 2a fanno a Marte e Venere in 8a, il quadro si complica ulteriormente: insieme a una profonda e dolorosa ferita narcisistica che ha molto probabilmente creato un radicato senso di inadeguatezza e di “non amabilità” e che ha presumibilmente spinto la Gimbutas ad assumere nelle relazioni atteggiamenti forse rifiutanti, di distacco e di freddezza (Venere-Saturno), c’è anche, al tempo stesso, un elemento di idealismo e di insaziabilità, di avidità e di “bulimia” affettiva, suggerito dall’opposizione Giove-Venere. Trattandosi di opposizioni, è lecito supporre che la Gimbutas abbia interpretato uno dei due poli e abbia proiettato l’altro sul marito, ma come e in che misura sia avvenuta questa “spartizione” è impossibile dirlo.

Sappiamo che con il marito il rapporto non fu mai idilliaco e che, nel 1963, in pieno transito di Urano in opposizione a se stesso, i due finirono per divorziare. A posteriori, la Gimbutas definì la sua decisione di sposarsi “una stupidaggine”, non essendo pronta per il matrimonio (c’è da chiedersi se, con aspettative tanto elevate e ferite narcisistiche tanto profonde, lo sarebbe stata mai) e non risulta che abbia avuto, successivamente, altri rapporti. Finita l’esperienza del matrimonio, cresciute in qualche modo le figlie, si ritagliò per sé un’esistenza interamente assorbita dai suoi studi, apparentemente archiviando senza rimpianti la pratica “relazioni sentimentali”.

In questa congiunzione in 8a casa in Pesci a me sembra riverberi, anche, quel principio in cui Gimbutas credeva moltissimo ed espresse sempre con grande, marziana energia, quella necessità cioè di riorientare la coscienza collettiva in direzione di un’equilibrata interazione tra principio maschile e femminile di cui si parlava poco su: un lavoro che lei per prima, nelle sue profondità inconsce, sentiva assolutamente di dover fare per sé – e dubito fece.

Quelle società matrifocali da lei riscoperte, pacifiche e raffinate, erano tali proprio perché si basavano sull’egualitarismo tra i sessi e sulla mancanza di sperequazioni sociali e sessuali: di questo la Gimbutas era profondamente e tetragonicamente convinta. Piuttosto che di “matriarcato”, che si connota come l’esatto opposto del patriarcato ed implica dunque l’idea di una dominanza femminile sul maschile, la studiosa, infatti, preferiva parlare di società “matrilineari” o “matrifocali”.

Indubbiamente, poiché il loro cardine era il culto della Grande Madre e i valori di base eminentemente femminili, alle donne veniva riconosciuto un ruolo sociale e religioso importante, cui gli uomini facevano però da giusto e necessario completamento, in un bilanciamento armonioso di qualità e competenze, di abilità e forze.

Alle donne, per esempio, la Gimbutas attribuiva le 3 grandi innovazioni del mondo neolitico: l’agricoltura, la tessitura e l’arte della ceramica (e in questa idea del femminile associato anche a un ruolo di innovazione io ritrovo ancora quella madre-pioniera primo medico donna in tutta la Lituania). Senza il contributo degli uomini che, dotati di maggiore forza fisica, si dedicavano alle incombenze più pesanti ma
altrettanto necessarie, quelle stesse società non avrebbero, però, potuto
svilupparsi in modo tanto articolato e splendido.

La Gimbutas credeva fermamente nella necessità di un lavoro collettivo che, tramite un ampliamento di coscienza, in un’ottica di risanamento sociale, recuperasse il senso del contributo che entrambi i sessi possono e devono dare a una società più giusta, più rispettosa delle sue componenti e del mondo naturale, dove maschile e femminile, natura e cultura non siano in conflitto, ma si integrino armoniosamente, dove non esistano né discriminazioni sociali ed economiche né sessismo.

Discriminazioni e sessismo che la Gimbutas conosceva molto bene e aveva subìto sulla propria pelle, proprio nell’ambito in cui maggiormente, fin da giovane, aveva concentrato tutte le sue migliori energie, cioè lo studio e il lavoro intellettuale.
Tutta la sua vita professionale fu infatti costellata dalle molte difficoltà che a quel tempo (e, in molti casi, ancora oggi) doveva affrontare una donna che decidesse di muovere i suoi passi in un ambiente ancora improntato a un forte maschilismo, come quello accademico.

Come accennato poco sopra, nel 1943 la Gimbutas lasciò la Lituania con il marito e la figlia per rifugiarsi prima in Austria, poi in Baviera. All’università di Tubinga completò il suo dottorato di ricerca con quella tesi sui riti di sepoltura che aveva portato sotto braccio al momento della sua fuga.

Nel 1949, decise di emigrare negli Stati Uniti: a Boston il marito trovò lavoro come ingegnere, lei un incarico alla Harvard University – non pagato: era l’unica ad avere competenze eccezionali sulla preistoria dell’Europa dell’est; ad essere in grado, grazie alla sua conoscenza di ben tredici lingue, di leggere e tradurre documenti che altri non potevano leggere e tradurre; il suo lavoro sui riti di sepoltura era stato pubblicato e aveva riscosso critiche e riscontri molto positivi presso gli addetti ai lavori. Eppure, come lei stessa affermò in un’intervista, non aveva nessuna prospettiva e nessuna possibilità di vedersi assegnata una cattedra; come ricercatrice e come lettrice non aveva diritto a uno stipendio; come parte dello staff poteva frequentare i club all’interno del campus solo se accompagnata da colleghi uomini, e in due delle biblioteche dell’università, in quanto donna, non le era concesso l’ingresso.
Per anni, la Gimbutas dovette subire la mancanza di riconoscimenti ufficiali e l’ostracismo sessista che vigeva, ancora forte, nell’ambiente accademico. Questa situazione le risultò sempre più intollerabile e odiosa e dunque, in concomitanza con il già ricordato transito di Urano in opposizione a se stesso, lasciò il marito e si trasferì in California, alla UCLA, dove le fu – finalmente – offerta una cattedra come professore.

È interessante esaminare, a questo proposito, un’altra area del tema, quella interessata dai rapporti tra Plutone in Cancro in 11a casa quadrato a Chirone in Ariete in 9a.

L’11a casa nasce in Gemelli e fa pensare al fatto che per la Gimbutas l’esperienza dei gruppi sia stata sempre in qualche modo legata alla dimensione intellettuale: la sua prima attività di studiosa, l’abbiamo visto, fu, non a caso, in una piccola squadra organizzata nella scuola fondata dai suoi genitori nell’ambito di una ricerca etnografica; successivamente, però, con lo svilupparsi della casa nel Cancro, la dimensione del lavoro di gruppo sembra essere stata vissuta con una modalità più ripiegata all’interno, più selettiva, e aver avuto una qualità anche profondamente emotiva. Inutile ricordare, poi, che il Cancro è il segno tradizionalmente associato all’archeologia e che la Gimbutas diresse moltissime campagne di scavo, gestendo e organizzando gruppi di studenti, ricercatori e collaboratori.

Sappiamo che fu un’insegnante carismatica e stimolante, che lottava come una leonessa per consentire ai suoi migliori studenti di ottenere i mezzi per portare a termine il loro percorso di studi e ai suoi collaboratori di ricevere i fondi e i contributi necessari per proseguire nella loro carriera, ma a tutti chiedeva, al tempo stesso, il massimo dell’impegno, né più né meno quello che chiedeva a se stessa: in cambio, era sempre pronta a donare il suo tempo e ad aprire addirittura la sua casa, con una disponibilità e una generosità riconosciute da tutti come “materne”.

Sappiamo altresì che mal sopportava le critiche, che considerava ogni appunto alla sua metodologia e al suo lavoro come un attacco personale, quasi un atto di lesa maestà, e che teneva molto a che il suo ruolo fosse riconosciuto e rispettato: aveva, cioè, degli atteggiamenti da regina (che anche solo il suo Ascendente Leone potrebbe giustificare) – generosa, ma pur sempre una regina.

Che amasse profondamente insegnare e che nell’insegnamento mettesse entusiasmo, passione, calore e incoraggiamento nei confronti dei propri allievi, sembra confermato dalla sua 5a casa, che ha una cuspide in Sagittario; l’aspetto più “tirannico” può essere forse letto nella successiva evoluzione della casa, che ospita il Capricorno, un segno che generalmente contempla per sé esclusivamente il ruolo di capo e non è particolarmente bendisposto a condividere questa posizione – anche perché è generalmente conquistata dopo aver lavorato a lungo e con enorme fatica – e che ai suoi collaboratori (nel caso ne abbia) chiede quello stesso impegno totale e quella stessa serietà assoluta che caratterizzano il suo modo di lavorare.

È nella porzione Cancro dell’11a casa che si trova il suo Plutone, il pianeta che più di ogni altro ha a che fare con l’espressione del proprio potere personale, che è – come si diceva – quadrato a Chirone in Ariete in 9a. Non penso sia azzardato leggere in questa combinazione quella tensione che rese così difficili i suoi esordi nell’ambiente accademico di Harvard, in cui, a dispetto della stima pur raccolta coi suoi lavori e le sue competenze, la Gimbutas si sentì ostacolata da quei pregiudizi maschilisti e sessisti che le impedivano, di fatto, di lavorare con la libertà e gli strumenti che invece erano messi a disposizione dei suoi colleghi uomini e senza i riconoscimenti economici che le sarebbero spettati.

Vi ravviso anche il difficile rapporto che ebbe sempre e comunque con l’ambiente accademico, prevalentemente maschile, a partire dal momento in cui si decise infine a presentare al mondo la sua creatura, la teoria della Grande Madre. La Gimbutas fu infatti oggetto di una vera e propria campagna discriminatoria e diffamatoria (dal forte sapore plutoniano) che screditò il suo lavoro etichettandolo, in modo sbrigativo, ingeneroso e ingiusto, come “pseudo-femminista”, generando un pregiudizio che ancora perdura, in una damnatio memoriae che ha fatto per molti anni sparire il suo nome dalle bibliografie di testi che pure indagano proprio il campo di ricerca che, a prescindere che si riconosca o meno un valore alla sua teoria, il suo contributo ha creato a fondare e sviluppare.

Di sicuro a me pare che in tutta la sua parabola professionale e intellettuale, la Gimbutas abbia dovuto mettere in campo qualità tipicamente arietine, quali la grinta, la spinta assertiva, la volitività non aliena da una certa aggressività che cela una radicata e sofferta insicurezza nel proprio pensiero (Chirone in 9a), ma abbia anche trovato il modo – in quel settore della sua vita tanto battagliato e complesso – di esprimere quella sua capacità di catalizzare e attrarre a sé, indossando le vesti di quel potente archetipo materno a lei così vicino, una sorta di “famiglia”, quella cioè composta dai suoi allievi più fedeli ma anche da una vasta porzione della comunità mondiale eco-femminista, che riconobbe in lei un punto di riferimento autorevole che dava realtà al mito di un passato diverso in cui era esistito un modello di potere “giusto” declinato anche al femminile; una capacità che mi pare mirabilmente riassunta in quel Plutone in Cancro in 11a.

In questa segnatura a me sembra proprio di scorgere l’essenza stessa della civiltà della Grande Madre, fondata sull’immenso potere femminile e materno di generazione e rigenerazione, che si dispiega su una collettività in cui ogni individuo, al pari degli altri, è figlio accudito ed insieme è chiamato ad accudire, ed è incluso (fagocitato?) nella grande “famiglia” collettiva di cui è parte integrante.

Una visione così distante e così in contrasto con quel Chirone in Ariete (il segno associato al patriarcato) in 9a casa, che parla forse anche della grande ferita che l’affermarsi aggressivo di valori maschili distorti da un’ideologia violenta avrebbe inferto alla Grande Madre e a tutto il femminile, ma anche della necessità di imporre la propria individualità, di emergere da quel magma emotivo materno, collettivo, che protegge ma al tempo stesso impedisce l’individuazione.

Di sicuro, in quella grande famiglia collettiva e matrilineare che la Gimbutas fece riemergere dal passato e in parte costruì anche nel suo presente, trovò infine pieno riconoscimento non solo la sua avventura intellettuale, ma anche il suo potere personale – un riconoscimento che però le venne negato sempre dal mondo patriarcale e ufficiale dell’accademia. Io credo che questa fu una mancanza che sicuramente fece assai soffrire il suo Sole in Acquario in 6a casa, che tanto desiderava sentire di avere un contributo innovativo e migliorativo da offrire al “sistema” del quale si sentiva parte, così diverso da quella Luna in 12a, che invece sentiva come condizione imprescindibile per il proprio benessere emotivo la possibilità di essere assolutamente libera, anche se questo significava trovarsi senza appoggi e senza sostegno o riconoscimento alcuno.

Chirone in Ariete è tra l’altro congiunto a Eris in Pesci (che è in trigono perfetto con la Luna in Cancro – a proposito della Grande Madre!), e parla ancora di come quella ferita personale, legata a un sistema culturale patriarcale, avesse generato un potente sentimento di rivalsa senza il quale probabilmente la Gimbutas non sarebbe riuscita,
con volitività tipicamente arietina e plutoniana, a recuperare e “guarire” quel femminile potentissimo che da tempo immemorabile era stato dimenticato e rimosso, riscattando, in questo modo, anche tutte le donne che per millenni avevano dovuto subire quella violenta negazione del loro potere.

Ripercorriamo, per concludere, le ultime tappe della biografia della Gimbutas, partendo da quel trasferimento in California che inaugurò per lei una nuova stagione, molto più gratificante dal punto di vista professionale.

Nel 1965, la studiosa pubblicò un testo sulla cultura dell’età del bronzo nell’Europa centrale che le valse fama e riconoscimenti a livello internazionale.

All’estate del 1973 risale l’inizio della campagna di scavi ad Achilleion, in Tessaglia, che si dimostrò fondamentale per la sua ricerca (è da notare che in quel periodo Plutone transitava intorno al Nodo Nord e Giove sul Sole). Furono riportate alla luce (nei forni dove si cuoceva la ceramica e nelle case) tantissime statuette, tutte risalenti a un periodo compreso tra il 7000 e il 6000 a.C. Esse rappresentavano per lo più figure femminili dalle forme sproporzionatamente abbondanti (le cosiddette “Veneri steatopigie”), o animali ma con tratti antropomorfi sempre femminili, simili ad altre trovate in precedenza cui fino ad allora era stata concessa scarsa attenzione, soprattutto perché non se ne era compreso il significato.

Studiandole con precisione e minuziosa attenzione a ogni più piccolo dettaglio, la Gimbutas ne escluse categoricamente il valore “pornografico” (che pure era stato loro attribuito per molto tempo, a causa dell’esagerata e insistita accentuazione delle caratteristiche sessuali, come grandi seni, grandi natiche e vulve prominenti), convinta che avessero, invece, un significato eminentemente religioso e che rappresentassero tutte le molteplici e diverse manifestazioni della Grande Madre, una divinità partenogenica (che cioè si genera da sola) e che genera da sé anche tutto il creato, e i cui attributi sessuali erano dunque giustamente enfatizzati.

In realtà, la studiosa sottolineò più volte che la caratteristica più importante della dea non era tanto la fertilità quanto la rigenerazione, perché essa presiedeva al grande, armonioso e sempiterno ciclo naturale e universale della nascita, crescita, morte e rinascita (e abbiamo visto quanto risuonasse potentemente in lei questo principio): chi aveva creato quelle statuette sentiva e vedeva il divino come un principio immanente, incarnato nel mondo naturale e presente in ogni aspetto della vita.

Sicuramente questa visione risvegliava in lei i ricordi, cui era legatissima, della sua infanzia in Lituania, dove il mondo contadino – in cui il cristianesimo era penetrato, e mai del tutto, solo a partire dal XVII secolo – era totalmente permeato di questa concezione “preistorica” del divino, espressa e codificata attraverso le credenze, i riti legati ai cicli naturali, la vita quotidiana, il canto, l’arte.

Così, muovendosi in un territorio multidisciplinare delineato dalle sue profonde e molteplici competenze in ambito archeologico, linguistico, etnografico, mitologico, folklorico e della storia delle religioni, con tutta la disinvoltura del suo Mercurio in Acquario che le offriva in dono la capacità di mettere in campo ed integrare saperi diversi, incrociando valutazioni che, a suo parere, si sostenevano a vicenda e facevano affiorare un quadro che lei riteneva perfettamente armonioso, coeso e dotato di senso, la Gimbutas cominciò a dar corpo alla sua grande teoria sulle società matrilineari.

Trascorse anni e anni a lavorare a questa teoria, ogni giorno, fin dal sorgere del sole, studiando, scrivendo, catalogando instancabilmente, minuziosamente e dettagliatamente migliaia di reperti, rintracciando in quegli squisiti manufatti motivi e immagini coerenti e ricorrenti, cercando tra loro una connessione, interpretandoli infine non come semplici elementi decorativi astratti (come era stato fatto fino a quel momento) ma come ideogrammi, “parole”, cioè, di un linguaggio visivo e simbolico che parlava di un grande, articolato e complesso sistema religioso.

Quando presentò i primi risultati di una ricerca che sarebbe durata più di 20 anni, la sua teoria trovò una grande opposizione. La Gimbutas ha più volte sostenuto di non aver “scoperto” la Grande Madre, ma di essersi limitata a “vederla”, lì dove nessuno l’aveva mai vista ma era sempre stata.

È proprio questo il punto su cui batterono tutti i suoi critici. Fu accusata di aver perso obiettività, di aver “voluto” vedere la Grande Madre anche lì dove non era, di aver seguito una metodologia che aveva più dell’atto di fede che del metodo scientifico, perché si basava più sulle intuizioni e sulle speculazioni che sui dati di fatto, spesso
forzati in direzione di una sovrainterpretazione che a tratti appariva ai limiti del capzioso, e tralasciava, al tempo stesso, tutti i punti critici che avrebbero potuto mettere in crisi le sue conclusioni.

Sono accuse che sembrano proprio potersi rivolgere all’azione involuta di quel Plutone in quinconce a Mercurio, che forza, manipola, distorce la realtà – e la comunicazione che se ne fa – per arrivare dove vuole arrivare, o per difendersi. La Gimbutas ebbe sempre grandi problemi ad accettare le critiche mosse alla sua teoria, che per lei era perfettamente coerente e si basava su delle evidenze, e a molte di esse non rispose mai, ritenendole per lo più frutto di pregiudizi e di condizionamenti tipici della civiltà patriarcale, o semplici attacchi personali.

Sostenne con forza che di quelle società matrilineari si era persa cognizione e memoria perché rappresentavano una cultura “invisibile”, in quanto senza re e senza guerre, che non si adattava alla definizione di “civiltà” così come essa era stata codificata dal patriarcato.
Alcune conclusioni della Gimbutas sono state successivamente confutate (per esempio che dal paleolitico fino all’età del bronzo non ci sia nessun segno di guerra né singola né di gruppo, il che parrebbe contraddetto dalla presenza di fortificazioni risalenti anche a quel periodo e dall’uso di frecce non solo a scopo di caccia ma anche di aggressione e di difesa); altre stanno ricevendo delle conferme.

Quel che è certo, è che, in questo modo, la Gimbutas ha “restituito” la Grande Madre al collettivo, quantomeno a una sua parte, contribuendo così a quel lungo processo di risanamento di quella ferita antichissima che tutte le donne hanno subìto e portato su di sé per millenni, private come sono state (e sono ancora, per molti versi, tuttora) di un modello di potere sano e genuinamente femminile, ma anche affermando con forza la necessità di riscoprire, attraverso questo modello, un modo di vivere più in armonia con la Terra, una priorità che si fa di giorno in giorno più urgente in un mondo sempre più minacciato dalla disgregazione, dalla guerra, dalla disconnessione.

Penso anche che la visione di questa Grande Madre, i cui lineamenti la Gimbutas ha pazientemente e amorevolmente ricostruito, sia stata di enorme soddisfazione per la studiosa e di grande consolazione per la donna, che aveva sofferto sulla propria pelle, ma in modo del tutto inconscio, la disconnessione profonda da un materno che fosse insieme potente e nutrente, consolatorio e avvolgente, e aveva anche fatto esperienza della violenza del patriarcato, prima quella collettiva e oppressiva dell’invasione della sua amata terra, poi quella della seconda guerra mondiale, infine quella, meno cruenta ma altrettanto schiacciante, dei pregiudizi sessisti patiti nell’ambito di vita in cui aveva investito tutte le sue energie.

Probabilmente, per dedicarsi anima e corpo a questa colossale impresa, qualcosa in lei sentì di dover in qualche modo “sacrificare” la propria dimensione familiare e sentimentale individuale, un sacrificio che alla fine la Gimbutas pagò, ammalandosi di cancro, contro il quale lottò con energia, infaticabilmente – il modo in cui faceva ogni cosa. Non sono riuscita a trovare informazioni più dettagliate sulla sua malattia, ma qualcosa mi dice che l’organo colpito fu proprio il seno – quantomeno questo sarebbe perfettamente in linea con tutta la sua storia.

Nel suo ritratto dell’antica civiltà della Grande Madre vive il sogno di quella Luna in Cancro in 12a casa, che parla di un mondo in cui non esiste più separazione, non esistono conflitto e sofferenza, dove la vita tutta, nella sua necessaria e ciclica alternanza di vita e morte, si dispiega tra le braccia amorevoli di una madre che tutto comprende e tutto contempla, è eternamente nutrente, tanto nel dare la vita come nell’accogliere i suoi figli nel sonno della morte, che non è più la fine di tutto ma solo la premessa necessaria perché un nuovo ciclo abbia inizio.

Una verità profonda che sicuramente l’umanità che nel Neolitico avviò l’allora rivoluzionaria pratica dell’agricoltura imparò a comprendere e a integrare dentro di sé, riconoscendo nel seme che nasce dalla morte della pianta la promessa, sempre rinnovantesi, della vita che torna, in una continua, eterna, ciclica rigenerazione.

di Alessia Campera

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