Da qualche anno è entrata nell’uso corrente la parola “mobbing” che, nella lingua inglese, significa “persecuzione” di qualcuno ad opera di una o di più persone nell’ambito in cui l’individuo è inserito. Questo termine però è stato preso a prestito dall’etologo Konrad Lorenz che lo coniò per indicare l’attacco di gruppi di animali (generalmente più piccoli) ai danni di un animale di taglia molto più grande.

Nella società moderna questa parola viene usata prevalentemente per indicare una “persecuzione sul lavoro” da parte di un gruppo di colleghi ai danni di una persona in particolare. 
Si tratta di una sorta di terrorismo psicologico che viene messo in atto in un clima di totale ostilità verso un soggetto che si viene così a trovare in una condizione di minoranza e di sudditanza oltre che di impotenza. 

Sono state definite da uno studioso tedesco le azioni che possono essere considerate “mobbizzanti” ed anche le modalità in cui avvengono e la frequenza: nel senso che Leymann, così si chiama, sottolinea che perché si possa pensare veramente al mobbing la persecuzione deve avvenire con una certa frequenza, deve esserci uno stato di continuità (deve perdurare da almeno sei mesi) e, le azioni, devono essere finalizzate alla compromissione della reputazione personale o lavorativa di un soggetto al fine di anticiparne le dimissioni e l’uscita dall’azienda. Leymann precisa anche che molte delle azioni che vengono considerate mobbing, prese singolarmente non sarebbero distruttive, ma lo diventano quando si sommano e sono continuative nel tempo; solo allora si può pensare che vi sia una vera e propria persecuzione tendente a mettere una persona in condizioni di inferiorità e di impotenza.

E’ stato addirittura messo a frutto da Leymann un questionario che indica ben 45 modalità di comportamenti ostili suddivisi in cinque categorie precise che possono intaccare le relazioni sociali, la possibilità di comunicare e di potersi difendere, l’immagine privata e professionale e, infine anche la salute di un soggetto.
Non è facile distinguere tra un vero e proprio processo di mobbing e i più comuni comportamenti competitivi, le ostilità, i conflitti e dissensi che invece occupano tuttora uno spazio di rilievo sul piano lavorativo perché vengono considerati “fisiologici” e non “patologici”. 

In effetti ci sono ancora molte aziende che vedono questi atteggiamenti con favore, non li considerano distruttivi ma anzi, costruttivi e stimolanti. 

Abbiamo visto tuttavia nel numero precedente del nostro magazine quanto in realtà la cooperazione e il concetto di non competitività distruttiva stiano per fortuna ottenendo sempre più consensi in quanto creano condizioni nell’ambiente lavorativo che favoriscono una maggior espressione delle capacità individuali in un clima energeticamente più rasserenante e premiante. 

Possiamo quindi considerare il mobbing come una forma degenerativa della competitività e del conflitto; qualcosa che può nascere inizialmente da questioni puramente professionali ma che può esondare in campi diversi fino a quelli prettamente personali. In effetti nel “mobbing spinto” è la persona nella sua totalità che viene presa di mira e ogni azione è finalizzata ad intaccare la sua immagine, il suo valore e la sua autostima. 

Tra le varie cause di dobbiamo prendere in considerazione anche le “molestie sessuali” che spesso rendono l’ambiente insostenibile perché le pressioni che vengono fatte tendono a mettere la donna in condizione di inferiorità; altre volte invece è la sfera sessuale della donna ad essere messa in ridicolo o ad essere oggetto di pettegolezzi e derisioni che intaccano completamente la riservatezza di cui ognuno ha diritto nell’ambito lavorativo. 

Ci sono casi in cui ad un rifiuto fanno seguito veri e propri attacchi di mobbing che rendono il clima intollerabile in quanto vi sono allusioni, ridicolizzazioni e ambiguità che sono difficilissime da gestire soprattutto quando l’ambiente è competitivo e si basa sulla rivalità tra uomini e donne o, ancor peggio tra donne e donna. 

Il mobbing avviene proprio quando si crea uno stato di impossibilità di risoluzione del conflitto e questo si protrae dando luogo a rivendicazioni e a tematiche sotterranee di distruttività che covano e che trovano poi direzioni “trasversali” per poter colpire la persona verso la quale si nutre rancore ed astio. Generalmente c’è un’unità di intenti e quindi il “persecutore” si coalizza con altri colleghi e comincia ad estendere in maniera subdola il conflitto. 

E’ una tematica tipicamente Plutonica quella del mobbing: in effetti perché questo accada deve essere messo in scacco il proprio potere personale e il soggetto del mobbing viene attaccato in modo non chiaro e non diretto e questo contribuisce a “rendere confusa e torbida” la situazione. Il più delle volte nel momento in cui la vittima inizia a lamentarsi della situazione è lei stessa ad essere vista come “pazza”, come una che si inventa le cose e che vede quello che non c’è. In effetti proprio di questo si tratta, per poter parlare di mobbing si devono creare delle condizioni in cui il conflitto sia per lo più sotterraneo e vi regni un ampio spazio di ambivalenza in cui coltivare il risentimento e il bisogno di rivendicazione.

L’impossibilità di risolvere il conflitto infila la rabbia marziana in un territorio più prettamente plutonico e la fa diventare stagnante ma estremamente velenosa e, a quel punto, si può servire di ogni mezzo per cercare di distruggere quello che ritiene sia il proprio nemico. 

Ciò che va tenuto in conto nei casi di mobbing è spesso l’abbassamento delle prestazioni lavorative: infatti, in un clima di risentimento, di intimidazione e di persecuzione è molto difficile poter far fronte a performance elevate quando la maggior parte delle energie viene diretta alla difesa o all’attacco. 

In effetti le situazioni di mobbing tra colleghi finiscono per essere sventate dalla Direzione nel momento in cui la professionalità non risponde più alle aspettative. 

I tentativi di risoluzione spesso passano per altre azioni di mobbing: infatti, è provato che il gruppo che attacca tende a far leva su presunte caratteristiche negative della personalità della vittima: a questa infatti vengono imputate difficoltà caratteriali, difficoltà nella relazione con gli altri; in pratica viene considerata soggetto “particolarmente difficile ” oltre che “incompetente” a livello professionale.

In questo clima tipicamente ambivalente è difficile dall’esterno capire le reali motivazioni e reazioni, ragion per cui diventa particolarmente arduo investigare su queste situazioni, proprio perché il contesto è particolarmente delicato e le ragioni sono difficili da individuare.

A questo si aggiunge il fatto che spesso i problemi di mobbing intervengono laddove la leadership non è all’altezza della situazione e non riesce a motivare in modo appropriato i collaboratori e i dipendenti creando invece ostilità e divisione che possono poi scadere e degenerare: c’è da dire che a volte, la vittima è già designata e, in quel caso, è chiaro che i fattori della personalità diventano importanti per comprendere come il processo si svolgerà. 

E’ chiaro che il mobbing ha una precisa finalità: “ portare un soggetto all’esclusione anticipata dal mondo del lavoro”; questo è l’obiettivo reale del mobbing. La degenerazione del conflitto invece, nasce quasi sempre dalla paura di perdere il lavoro che rende il soggetto particolarmente esposto alla vittimizzazione. La paura di affrontare direttamente una controversia, la paura di essere considerato non sufficientemente competente, la difficoltà di agire direttamente e di chiedere interventi a livello di leadership spesso creano quel particolare “humus” su cui, chi ha interesse a coltivare l’ ostilità può trovare nutrimento. Tutti noi ci troviamo in balia del potere di altri quando, in qualche modo rinunciamo al nostro per la paura che un nostro bisogno venga fustrato.

Come sempre, trattandosi di una situazione tipicamente plutoniana, dobbiamo comprendere che la capacità di affrontare le cose sul nascere, quella di non tacere per paura di perdere il lavoro, unite alla capacità di portare allo scoperto ciò che striscia sotterraneamente sono le armi che ogni individuo ha a disposizione per non cadere vittima del potere o dell’arroganza di qualcun altro. 

La percezione di non avere risorse sufficienti o il non credere nelle stesse espone a situazioni difficili, alla minaccia, al ricatto e all’impossibilità di gestirle.

a cura di Lidia Fassio