La Psicologia ha molte affinità con il mondo dell’Astrologia e queste due discipline possano essere considerate a buon conto come potenzialità per addentrarsi nella comprensione dell’anima.
Il primitivo significato della parola “psiche” era “respiro” e in effetti a questo si riferiva nell’antica Grecia, nel senso di inspirazione ed espirazione, ovvero dallo spirito all’anima e dall’anima allo spirito.
Quindi, psicologia non è la scienza della mente, ma scienza dell’anima e, parlando di anima non possiamo non pensare a come la psicologia abbia qualcosa in comune con la trascendenza e, in effetto il suo trascendere riguarda proprio la mente: non si può comprendere ciò che muove la profondità dell’anima usando gli occhi della mente; quando la mente vuole definire, la comprensione svanisce.
La mente ha bisogno di teorie e di schemi e l’anima non si fa ingabbiare e non si lascia per così dire schematizzare.

Non è facile per gli uomini di questa epoca addentrarsi nello studio dell’anima – il solo pensarlo a volte fa sentire presuntuosi – anche perché il pensiero astratto che è il fiore all’occhiello della scienza occidentale , spesso parte da un assunto equivoco ed equivocato che tutto debba essere in un certo senso “definito” e come tale debba avere una “forma precisa” che possa essere “misurata e visibile” e gli strumenti che per eccellenza possono fare tutto ciò sono, manco a dirlo, “la razionalità e la logica”; in effetti, “de-finire” è uno dei processi lineari della mente che deve trovare connessioni e collegamenti tra le singole parti .

La definizione porta l’esperienza immediata di colui che osserva all’interno di uno schema preciso che può poi trovare espressione attraverso il linguaggio che è anche esso una “definizione”, e, soprattutto una “convenzione”. Per studiare o scrutare l’anima, la mente è però lo strumento meno appropriato poiché “definire e misurare” sembrano i vocaboli meno adatti quando parliamo di anima e, pertanto, bisognerà avvalersi di altri strumenti di percezione che sfuggono alla razionalità e alla logica perché che appartengono alla natura dell’intuizione che è un qualcosa che va al di là di qualsiasi forma o schema poiché è precedente e riguarda la coscienza profonda, qualcosa che sfugge alle definizioni e alle logiche della mente.

A livello psicologico il grande Carl Gustav Jung giunse attraverso la sua personale esperienza ad ipotizzare un inconscio personale, uno collettivo e uno archetipico proprio perché constatò come all’interno di culture assolutamente diverse e senza contatti tra di loro, vi siano tematiche analoghe che sono rappresentate sotto forma di miti che hanno personaggi “simili” e quindi “archetipici” ; da ciò il grande psicoanalista svizzero intuì che ogni uomo è agito da una psiche oggettiva ereditaria su cui si innestano i contenuti inconsci che invece derivano dalla propria storia personale che ha che vedere con le figure parentali e con la sua base istintiva e con il modo in cui ha introiettato ed elaborato le esperienze dell’infanzia. Jung andò ancora molto più in là fino a sostenere che noi siamo eredi di una sorta di memoria inconscia che mantiene traccia di modalità di risposta sviluppate nella sua storia evolutiva, fornendo delle linee guida dei comportamenti.

Gli studi recenti della fisica quantistica e della biologia appoggiano pienamente le intuizioni di Jung, anzi le confermano.

Possiamo dunque ipotizzare l’esistenza di due mondi: quello della mente che chiamiamo solitamente realtà ordinaria che è il mondo percepito dai sensi e gestito interamente dalla mente e quello che possiamo chiamare “trascendente” nel senso che non si ferma alla realtà apparente ma scende più in profondità ed è un mondo che necessita di “visione interiore e di intuizione” per essere percepito. Il problema però è che l’impostazione mentale della realtà e, soprattutto della nostra scienza occidentale, elimina completamente il trascendente perché tutto ciò che viene ritenuto “scientifico” deve eliminare completamente il “metafisico”.

In questo modo però la visione è sempre limitata e soprattutto “parziale” appunto “razionale” da ratio=parte. Dobbiamo perciò dedurre che la vera comprensione dell’anima o dell’Essere deve quindi avere delle regole che sono estranee alla mente ordinaria. Da un punto di vista psicologico l’IO deve trascendente i suoi confini per riuscire a cogliere i bisogni del Sè (anima). Tutto ciò dovrebbe consentirci anche di riconquistare un rapporto molto più vero con la vita e tutto ciò può rappresentare la conquista di un nuovo senso religioso che leghi da un lato la mente all’anima e sul piano macrocosmico l’uomo a Dio o all’universo.

Per giungere a questa “unione” sia la psicologia che l’astrologia si servono del simbolo che è un ponte tra il mondo della realtà ordinaria e il mondo trascendente e permette anche di passare da una logica lineare (tipica della mente) ad una circolare (tipica dell’anima).

Sia la psicologia che l’astrologia lasciano intuire che vi siano aspetti di un’anima che non sono e non possono rappresentare soltanto il vissuto personale.
Nel caso della psicologia ci siamo riferiti al discorso junghiano di inconscio collettivo-archetipico, nel caso dell’astrologia, possiamo infatti vedere attraverso alcuni simboli potenziali che l’individuo sperimenta attraverso il collettivo (è il caso di Nettuno e Plutone) che sono pianeti generazionali e collettivi che devono essere quasi filtrati per giungere all’individuo che, a mio avviso, ne sperimenta sempre e comunque i loro significati archetipici.

Anche sul piano delle esperienze vi sono alcune esperienze che vanno al di la della comprensione della mente e che sono impossibili da collocare nello spazio-tempo di una singola vita.
Vi sono esperienze che sfuggono all’interpretazione della razionalità e della mente perché sembrano non avere significato, almeno in apparenza. Ad esempio, una malattia mortale in un corpo giovane non ha alcun significato, almeno non può averlo nell’interpretazione della mente che, legandosi ad un tempo lineare comprende perché un bambino debba morire. Tutto ciò però potrebbe assumere un significato se venisse invece osservato attraverso una logica diversa, quella di un tempo circolare. Il tempo circolare ci porta però fuori completamente dalla “mente” e dalla linearità di un inizio e di una fine: in effetti, la circolarità ci conduce per mano al pensiero di “sincronicità” anziché di “causalità” e, inoltre, non ci parla ne’ di nascita ne’ di morte, ma di stati diversi in cui vi sono trasformazioni necessarie che devono condurre alla conquista di nuovi e più elevati “stati di coscienza”.

Ecco allora, in questa visione alternativa, che anche la malattia mortale di un infante potrebbe assumere un “significato” preciso, al di la del dolore e della compassione che il fatto in se’ ingenera in ogni animo umano.

Potrebbe però anche portarci ad un’altra interpretazione e ad un altro presupposto di base: il tema natale è prima di tutto un progetto di vita che racchiude una serie di potenzialità che andranno sviluppate e che serviranno per superare difficoltà, anch’esse presenti che dovranno essere prima comprese per poi poter essere trasformate.

Dal momento che il tema natale racchiude il nostro progetto di vista – peraltro individuabile da una sua lettura accurata – la domanda che spesso si pone è “ma allora noi siamo determinati?”.

Ovviamente non è così; il fatto stesso che si prendono in considerazione le leggi della psicologia indica che chiaramente non è possibile partire dal presupposto che esista un destino che stabilisca che cosa o come dobbiamo essere.
L’astrologia indica chiaramente che ogni uomo può sviluppare e giungere a possedere il libero arbitrio, però ci dice anche che questo non ci viene regalato e che in pratica sembra essere un’impresa prometeica che va conquistata giorno dopo giorno attraverso un’acquisizione lenta e graduale di consapevolezza.

A livello psicologico non esiste un destino, esiste invece l’inconsapevolezza che pare assumere le sembianze del fato giacché sembra costringerci a vivere esperienze che apparentemente sono del tutto estranee a noi e soprattutto estranee a ciò che si chiama consapevolezza.

Jung diceva che tutto ciò che non conosciamo di noi e che non riconosciamo e quindi non integriamo nella nostra coscienza, saremo costretti a viverlo come fato, quindi come se fosse qualcosa che ci è stato dato da non si sa bene chi.

Se noi avessimo una vita già segnata in partenza, non avrebbe alcun senso aver sviluppato nel tempo delle potenzialità a livello cerebrale che ci hanno resi molto più sofisticati, in grado di analizzare i dati e i fatti incamerati al fine di dare risposte sempre più adatte e sofisticate; questa evoluzione sarebbe risultata inutile e, pian piano, per via della selezione naturale il nostro cervello si sarebbe atrofizzato e la nostra vita avrebbe continuato ad orientarsi sulle risposte istintive peraltro estremamente efficaci in campo di sopravvivenza.

Invece, proprio perché siamo macchine pensanti, capaci di sviluppare consapevolezza e di fare salti qualitativi di coscienza, capaci di scegliere e di essere responsabili delle nostre azioni, siamo anche in grado di prender in mano la nostra vita ; è pur vero che queste capacità si acquisiscono nella seconda metà della nostra vita e, fino a quel momento, abbiamo la sensazione di essere determinati, ma allora, dobbiamo porci una domanda : “ determinati da cosa?”.

A questo punto possiamo riferirci a due filosofie di base, la prima è squisitamente psicologica ed è quella del SE’.
Il SE’ è un’istanza psicologica sovra temporale, sovrapersonale e sovraspaziale ; è un principio che culmina nel divenire e nel dare un senso alla vita: il Sé è qualcosa che va oltre , è l’archetipo centrale che organizza e ordina tutte le altre componenti psichiche che, in un certo senso, racchiude e comprende ed è la fonte del continuo ed inesorabile divenire della coscienza.
E’ una energia in contatto con la più grande Fonte di energia cosmica ed è anche il Centro del complesso pischico dell’Io , è quel principio che trasforma il vissuto e da’ un significato ad esso.
Partendo dall’ ipotesi di base di atemporalità possiamo andare molto più in là e possiamo azzardare l’ipotesi che il Sè sia preesistente alla forma sia fisica che psichica e che anzi, abbia forse contribuito alla scelta della forma fisica e dei tratti salienti della personalità in modo da poter accompagnare la stessa nel compito-progetto di dischiudersi nel suo eterno divenire.
Il Sè conosce da dove arriviamo e dove siamo diretti e, in mancanza di una reale coscienza egoica dell’individuo e di un reale libero arbitrio, tenterà di condurci verso quelle esperienze che risulteranno comunque significative ed importanti per la nostra evoluzione.

Questa modalità di espressione spesso sfugge all’Io che si ritiene l’unica entità della psiche e che quando è costretto a prendere atto di comportamenti o di avvenimenti che escono dalla sua sfera di influenza, vengono catalogati come estranei e, pertanto, non propri e come tali, appartenenti all’esterno del mondo.

Non dobbiamo infatti dimenticare che noi abbiamo coscienza di tutto ciò che passa attraverso le frontiere dell’Io che rappresenta tuttavia un campo di conoscenza limitato e delimitato dove l’unità e la continuità del mondo viene sezionata e scomposta in varie porzioni, alcune accolte ed altre clamorosamente respinte. La coscienza-IO ci fa vedere il mondo in un particolare modo – quello che noi definiamo realtà – che però è solamente soggettiva, prova ne è che la percezione cambia totalmente allorché viviamo stati di elevazione o di abbassamento di coscienza.

Anche la separazione tra mondo esterno e mondo interno – così evidente per il nostro IO – è però esclusivamente dovuta al nostro sistema conoscitivo, che tuttavia, non è l’unico. Ci sono altre forme di conoscenza – quella del Sè – per cui questa polarizzazione non ha alcun senso. I contenuti dell’inconscio – che noi riteniamo estranei – non appena vengono integrati acquisiscono subito aspetti tipici della coscienza polarizzazione, concretizzazione e causalizzazione.

Noi consideriamo inconscio qualcosa che accade sotto il livello della coscienza, eppure, attraverso gli esperimenti di ipnosi sappiamo che in questo stato un soggetto riesce a ricordare una quantità di cose che l’Io ignora e che non è in grado da solo di riportare alla memoria.

Ciò che sta nell’inconscio è tale perché l’Io non lo percepisce, ma ciò non significa che non abbia una sua personale coscienza; in pratica, la coscienza non dovrebbe sentirsi autorizzata a giudicare sistemi o realtà diverse dalla sua.

Tutto ciò che noi consideriamo “destino” in realtà non è qualcosa che sta fuori di noi, ma semplicemente sta al di fuori del campo di coscienza dell’Io, appartiene ad un campo che attiene al Sé che è dunque in grado di scegliere, determinare avvenimenti e risposte, anche al di fuori del nostro controllo.

Il Sé è comunque un’entità che ha consapevolezza e conoscenza, è l’unica entità che conosce il nostro progetto e che vuole assolutamente che noi lo portiamo a termine.

La seconda domanda che, solitamente, si pone è : “ ma se noi nasciamo già con quel tema, questo cosa significa?”

Noi dobbiamo divenire esseri completi e totalmente consapevoli – in una parola evoluti – però ciò non può accadere in una sola vita , ma che ne occorrano molte; il Sé soprassiede a tutte queste vite e ne mantiene memoria, forse obbligandoci di volta in volta a ritornare sui nostri passi e su ciò che non abbiamo ben elaborato e compreso; ciò che invece è totalmente nuovo di volta in volta è l’Io, che è la personalità che noi assumiamo di volta in volta, mente il Sé ha molto più a che fare con l’Anima che è anch’essa una struttura transpersonale e, soprattutto, qualcosa che contiene l’essenza e non solo una parte di essa.

L’io nasce dunque dal Sé, si stacca, crea una sua struttura autonoma e pian piano si arroga il diritto di essere solo… ed unico; – se però tutto funziona – ritorna a riallinearsi con la totalità , e questo accade una volta compreso il progetto.

Partendo da questi due assunti di base un tema natale si presenta alla nascita di un soggetto con determinate segnature che rappresentano il progetto di quella singola vita – unica e irripetibile nella sua oggettività – ma facente parte di un continuum di vite che si inanellano l’una dopo l’altra alla ricerca di riconquistare la perduta unità . Ciò che è presente nel tema natale è ciò che abbiamo scelto per quella determinata vita e che, proprio in seguito alla scelta del Sé – si presenterà puntualmente per essere vissuto e superato.

Il tema natale presenta dunque potenzialità – che potrebbero essere definite talenti, dotazione iniziale con cui possiamo affrontare il nostro compito – ed una serie di blocchi, di energie che non avranno facilità a giungere ad una reale collaborazione: ebbene, proprio su queste dovremo lavorare per far sì che alla fine della nostra vita esse siano integrate nella coscienza : nella prima parte della nostra vita – intendo fino al primo ritorno di Saturno – ci sembrerà che le cose accadano per via di una determinazione: in realtà, sarà proprio il nostro Sé a determinare quelle particolari condizioni ; in effetti, fino a quella data abbiamo ben oche possibilità di decidere e di scegliere cosa fare e come dirigere la nostra vita; in questo periodo perlopiù si impostano le condizioni che il tema natale rivela in embrione, condizioni che ci troveranno alla prima importante boa della nostra vita esattamente con tutte quelle dinamiche, quei blocchi e quei potenziali, con cui andremo ad affrontare il nostro personalissimo compito che consisterà nel diventare ciò che abbiamo scelto di diventare.

ESEMPIO ESEMPLIFICATIVO

Una persona con un aspetto di quadratura tra Venere in seconda e Saturno in quinta. Ecco, un astrologo tradizionale sottolineerebbe alcuni tratti che sicuramente esistono tipo una scarsa fiducia in sé, un’affettività problematica con un blocco nell’espressione dei sentimenti e a volte ancor peggio, perché la persona potrebbe sentirsi dire che è destinata alla perdita degli affetti e ad una vita di totale solitudine, e che trattandosi di una Venere in seconda casa potrebbe anche rischiare di essere sfruttata da relazioni basate su interessi di tipo materiale. Questa lettura, non solo non servirà – perché è già chiaro alla persona che nella vita affettiva ci sono molti problemi – ma rischierà di bloccarsi ulteriormente sentendosi vittima di un destino che ingiustamente sembra precluderle una sana realtà affettiva, e con questa sensazione potrebbe chiudersi ancora di più favorendo la realizzazione di qualcosa che non è scritto ma che lei vivrà come se lo fosse; il più delle volte, poi, se si fa un’indagine sul consulente, si scopre che ha lo stesso aspetto di nascita e che quindi ha proiettato ed amplificato la propria difficoltà sulla consultante. Una lettura astropsicologica sarebbe invece andata a scavare sui primi mesi di vita di questa persona e sull’esperienza che può aver provocato un isolamento sensoriale, una privazione di contatto epidermico e una mancanza di empatia con la figura primaria, situazioni che hanno favorito l’organizzazione di difese profonde contro ogni contatto futuro. Questo modello psichico ha legato indissolubilmente l’affettività del soggetto al disagio e alla sofferenza, impedendo la formazione di un senso di autostima e della conseguente possibilità di scegliere a livello cosciente tra piacere e frustrazione; si è così forgiato un Sé non meritevole d’amore che dovrà compensare con “l’avere” e con “il fare” il suo “non essere”. E siccome tutto lo schema originario rimane inconscio – fuori dall’area di azione dell’Io – il soggetto in questione attirerà nella vita – in modo completamente fuori dal suo controllo – persone che gli permetteranno di rimettere in scena questa dinamica, rivivendo ogni volta la stessa frustrazione.

L’esperienza è completamente rimossa dalla coscienza, ma il corpo e l’ inconscio la riattiveranno ogni volta con il solo ed unico scopo di sollecitare la guarigione.

Il Sé agirà dunque come un vero e proprio catalizzatore che attirerà nella vita proprio quel tipo particolare di esperienza che sarà fondamentale affinchè il soggetto giunga coscientemente a modificare lo schema iniziale.
Se vogliamo andare ancora un po’ più in là possiamo dire che probabilmente il soggetto aveva già scelto di risolvere questa esperienza che magari si era instaurata in un’altra vita o in un’altra dimensione e da cui ancora non era libero.

Il consultante potrà avere ancora molto di più dall’incontro con l’astrologia umanistica e psicologica: potrà infatti sentirsi dire che questo tipo di dinamica tende ad attivarsi sempre nel momento in cui incontra l’”altro”, e questo affinché la frustrazione la porti a lavorare sullo schema, che è bloccato perché è cristallizzato. Con un lavoro di recupero della ferita sull’ autostima, che consenta di raggiungere un miglior rapporto con il corpo e con l’ affettività, il soggetto potrà finalmente permettersi di vivere relazioni normali, godendo anche del piacere che il contatto con l’altro potrà dare.

In poche parole, il soggetto dovrà abbandonare la struttura difensiva che è stata eretta a protezione di una parte impaurita e fragile che impedisce di vivere pienamente e in modo totalmente libero una relazione. In genere, la paura di non essere all’altezza – ingenerata da Saturno – conduce al controllo, al blocco, al non darsi – tutte possibilità che portano sicuramente alla fine della relazione oppure ad un sacrificio del proprio senso del piacere. Risolvendo questo schema, anche la sessualità e la creatività verranno aumentate dal più elevato senso di identità e di autenticità.

Per concludere, la quadratura Venere Saturno non condannerà il soggetto a vivere nella frustrazione e nella sensazione di non poter essere amato, ma lo stimolerà semplicemente a comprendere il perché non riesce a condividere nulla con l’altro, perché non si sente a proprio agio nel suo corpo e perché non sa godere di una situazione paritetica con un partner. Risolto questo schema Saturno porterà il soggetto a vivere appieno la sua dimensione che è quella di maturità e di autonomia affettiva che sarà visibile nella ricerca di relazioni paritarie, esenti e lontane da ogni forma di dipendenza.

L’astrologia è uno strumento incredibile, con immense potenzialità che possono svelarsi in pochi attimi ad un occhio esperto, ma proprio per questo richiede umiltà, rispetto degli altri e soprattutto un lavoro profondo su di sé. Chi non ha preso coscienza delle proprie dinamiche inconsce, rischia di fare un pessimo servizio all’astrologia e al prossimo, poiché proietterà inevitabilmente contenuti personali irrisolti sugli ignari consultanti.

Deve essere per prima cosa uno strumento di conoscenza personale, che solo in seguito potrà essere applicato con serietà e professionalità agli altri, tenendo in considerazione che ogni tema natale è il diario di bordo di un viaggio mitico, nel corso del quale i vari Dei (pianeti) giocheranno la loro parte. Meno conosciamo questi Dei e più rischiamo di essere schiavi della loro capricciosità; più li conosciamo e li onoriamo, più ci forniranno consapevolezza che è lo strumento per padroneggiare la nostra vita. Nessun essere cosciente si sognerebbe mai di partire per una traversata dell’oceano senza saper governare una barca, eppure moltissimi si avventurano nella vita senza mai mettersi al timone.

L’approccio umanistico psicologico si fonda su modelli strutturati in base ai condizionamenti del passato, che agiscono in modo coperto ed automatico finché non saranno portati alla luce e trasformati: solo allora ci sarà la possibilità di dare risposte e comportamenti diversi, perché solo allora sarà possibile sviluppare il libero arbitrio che consenta di scegliere tra varie opportunità.