Il transito di Plutone al Sole è un viaggio di grande trasformazione in cui l’adepto (il soggetto che vive il transito) dovrà affrontare una vera e propria discesa agli inferi, seguita da un’ inevitabile iniziazione, non procrastinabile.
Si parla spesso di “trasformazione” e di “evoluzione” e si tratta, in entrambi i casi, di processi che richiedono tempo ma, soprattutto, l’ abbandono di sicurezze acquisite il che risulta altamente destabilizzante e disorganizzante anche se, salutare per l’individuo.
Plutone si avvicina al Sole, simbolo dell’identità, con modalità precise ma, particolarmente complesse: sensazione di fallimento interiore percepibile anche nella vita esteriore accompagnato da senso di inutilità, perdita di significato e di centralità che fanno avvertire in modo inequivocabile il limite, il senso di piccolezza e di impotenza della condizione umana: un vero e proprio senso di depressione.
Il transito prende forma attraverso una situazione oggettiva che il “viaggiatore solitario” vive nella sua realtà e sulla sua pelle; si tratta di uno stato di criticità in cui si perdono le certezze e, insieme, si avvertono ambivalenza, annientamento e scarsa chiarezza; il transito si presenta con pensieri ossessivi che generano sofferenza e che accompagnano l’inevitabile perdita di qualcosa che, per il soggetto in quel momento, è importante, anzi, vitale.
E’ una sorta di annunciazione che però non suona affatto bene; qualcosa che preannuncia difficoltà, dolore e lutto; qualcosa a cui l’Io cercherà di opporsi con tutte le sue forze giacchè non lo comprende ma lo avverte come pericoloso per la sua sopravvivenza anche se, un lato dell’Io stesso, sa che non può sfuggire e che non ci sono scorciatoie da prendere. Si tratta della così detta “passione” che, nel caso di Plutone, porta con sé amore e sofferenza.
La lotta avviene tra i contrastanti sentimenti che si provano: ingiustizia, tradimento, umiliazione, impotenza e senso di abbandono da un lato e desiderio di opporsi e di lottare con tutte le energie possibili dall’altro in modo da padroneggiare il momento ed aver potere sulla situazione; in pratica l’Io si batte per non arrendersi e non soccombere.
E’ una sfida all’ultimo sangue, un ‘esperienza complessa in cui il senso di sé si smarrisce nell’altalena continua tra desiderio di vincere e terrore di perdere, battaglia che simboleggia l’eterna lotta tra il vivere e il morire e tra la luce a l’ombra; vincere in quel momento significa vivere, mantenere contatto con ciò che si è e con ciò che è stato fondamentale nel percorso fino a quel momento; perdere significa arrendersi, ammettere l’impotenza, consegnarsi ad Ade e alla sua tragedia che sa di chiusura e di annientamento, condizioni con cui l’eroe di turno è chiamato a fare i conti suo malgrado.
La perdita è un’esperienza inumana riservata solo ai mortali; la divinità non si confronta con la limitatezza e quindi non deve passare attraverso abbandoni e tradimenti: l’uomo invece è costretto di tanto in tanto ad abbandonare la vecchia forma e così la perdita è lì a testimoniare che siamo umani e quindi, mortali e miseri, anche se, proprio da questa esperienza si imparerà a venire a patti con l’inevitabile senso di “impermanenza” richiesto dal grande Dio degli Inferi.
Il percorso è terribile, c’è oscurità e l’aria è sempre stagnante: la sensazione è molto precisa: “anche se si sta andando avanti, si sa perfettamente che in realtà si sta tornando indietro” in quanto si regredisce ed è per questo che le forze diurne non vogliono concedere i loro favori: la coscienza non vuole confrontarsi con le forze ctonie che vivono e si nutrono di ombre che creano incertezza. C’è la sensazione di essere posseduti da qualcosa di potente che cercherà di rapire l’ “essenza” e che, ammesso che la restituisca, la trasformerà profondamente al punto che si faticherà a riconoscerla.
A lungo si brancola, ci si sente in trappola e senza via di fuga; in effetti non si vede alcuna luce e questo dà la sensazione di soffocamento perché urta contro il desiderio di illuminare, di far emergere, di ritrovare terra e centro, per farcela e non morire.
Certo, l’umanità intera, fin dalla sua origine, ha fatto questo viaggio: i miti ci raccontano di eroi che attraversano il mondo di Ade e che effettuano la discesa agli inferi con coraggio, armati solo della voglia di conoscere ciò che accade dentro e di tanta forza interiore; tuttavia, quando si è chiamati al viaggio eroico, si fatica a scorgere il lato positivo e a percepire i doni che offrono gli Dei che, al di là del sentire momentaneo, camminano a fianco dell’eroe per soprassedere al suo viaggio; così, per un lungo tempo, il viaggio sembra avvenire in perfetta solitudine perché, non ci sono accompagnatori umani e, anche chi sarebbe deputato ad accompagnare, in genere si guarda bene dal farlo e, almeno inizialmente, si sottrae; così l’eroe sperimenta il destino ineluttabile di ogni creatura che, in ogni tempo ed in ogni luogo, si è confrontato con la solitudine e la nudità, attraversando il regno dell’inconoscibile e dell’indesiderabile.
In questa fase della vita anche i sogni annunciano senza mezzi termini la desolazione che si prova all’interno. In genere chi sta vivendo un transito di Plutone al Sole oltre a sognare “figure mostruose”, fa anche sogni di viaggi poco piacevoli da fare in solitudine. Ci sono spesso treni o altri mezzi di trasporto da prendere e, magari, qualcuno che accompagna alla stazione per poi rimanere a terra congedandosi proprio nel momento in cui il treno parte; a volte, nel sogno appare una figura particolare che ricorda che non c’è posto per nessuno e che, servono pochi ed essenziali bagagli: come a dire che il superfluo non è previsto, anzi, è proprio ciò di cui ci si deve liberare unitamente a ciò che non è vero della propria personalità.
Questo viaggio sembra interminabile (circa tre anni, quelli che impiega il pianeta tra l’avvicinamento al Sole, l’arrivo al grado esatto, la retrogradazione, il nuovo avvicinamento e il nuovo passaggio al grado, fino al superamento di esso); un aiuto si rivelerebbe prezioso, illuminerebbe il cammino e riscalderebbe l’ anima dando sollievo ma, in genere, non si trova nulla anzi, gli appigli che possono presentarsi si rivelano quanto mai inaffidabili ed infidi e, se li si coltiva, frustrano facendo aumentare il dolore e lo smarrimento.
Le domande sono tante e tutte restano senza risposta, almeno fino alla fine del transito; si ha la sensazione di essere preda di un destino inutile e crudele e che niente di buono sortirà da uno stato d’animo così triste. L’uomo fatica a trovare senso nella sofferenza, cerca di allontanarla da sé perché non la vuole come compagna di viaggio anche se, in questo caso, non potrà evitarla.
L’Astrologia psicologica offre degli spiragli: il simbolo aiuta perché consente di creare ponti che uniscono le varie parti della psiche che, in quella fase, si scindono facendo naufragio: la sensazione è quella di andare in frantumi mentre si cerca una via che riconduca all’unità e al senso. In genere ci si sente a pezzi, ed in effetti, la psiche va letteralmente “a pezzi” e per questo ci si sente “morire”.
Forse, l’angoscia, l’ossessione e la paranoia presenti in questi stadi servono come protezione; sono le difese che mette in atto la parte più intelligente della psiche per limitare il senso di disgregazione che si percepisce come irreversibile.
Indicano bene la chiusura, il blocco e la difficoltà di portare la mente altrove in modo da trovare sollievo.
Non vi è luce, non vi è aria da respirare, si è in un tunnel dove non c’è nulla di vitale e si percorrono solo strade dense di contenuti stagnanti ed ossessivi; si viaggia nel sottosuolo – come diceva Dostojevskij – alla ricerca dell’edificio di cristallo che, tuttavia, non si vede per un lunghissimo tempo.
In questi momenti non vi sono ideali che sostengono, non amici che prendono per mano anzi, è il momento in cui gli altri fuggono da e quindi, al dolore si aggiungono delusioni, disillusioni e ferite che fanno piangere tutte le lacrime del mondo, quasi a disperdere la linfa più preziosa.
Manca l’ energia, si è spossati e, di certo, questo non è dovuto allo sforzo fisico, anche se il corpo avverte lo stress; chi sta veramente male è il cuore che sembra spezzarsi e non in grado di sopportare. La perdita è inevitabile e spesso è affettiva dato che Plutone si occupa quasi sempre del bisogno di riagganciare il potere che si è delegato a qualcuno; tutto viene vissuto come ingiusto, come una punizione ed un’espiazione che non ha possibilità di risanazione e, perciò, annientante.
Certo la psiche possiede le necessarie forze compensatorie e rigeneratrici ma in questi momenti non ci sono, non si riesce a contattarle e lo smarrimento è forte, pari solo all’intensità del dolore che sembra non avere fine. E’ in questi momenti che viene in mente la frase: “Dio perché mi hai abbandonato?”.
Quando un essere umano si pone questa domanda è al limite e pensa che la psiche non ce la farà anche se l’Io, pur allo strenuo lotta per non arrendersi e si prepara alla battaglia finale.
Il problema è che nessuno è addestrato per questo: gli esseri umani vengono indirizzati alla lotta, gli si insegna a combattere, ad alimentare la forza, a resistere, a trovare strumenti da opporre al dissolvimento ma non ha dimestichezza con l’arrendersi e il morire.
Però, morte e vita sono legate indissolubilmente e guarda caso Plutone le contiene entrambe, così come la Grande Madre contiene nel suo utero la voglia di creare unitamente a quella di distruggere ma, in questo frangente, l’Io non conta, non ci sono gli opposti che lo aiutano e lo sostengono, tutto è uguale e contrario, ogni cosa è nulla e tutto al tempo stesso.
Si vorrebbe agire e reagire ma ogni scelta sembra destinata alla condanna e al fallimento. La sensazione è di non avere strumenti e, soprattutto, di non avere vie di scampo perché, tutte quelle conosciute e sperimentate, sono sbarrate e non percorribili e, non appena se ne imbocca una ci si accorge che non porta da nessuna parte, o meglio, non porta dove Plutone vuole.
Ci si interroga sulla colpa; quale è la colpa che si sta espiando e perché? In fondo non vi è colpa ma semplicemente fatalità ed ineluttabilità; la sofferenza riporta al tema del “bene e del male” a quello della “giustizia e della colpa” che, tuttavia, non offrono risposte.
L’Io è pronto a pagare per ciò che ha scelto ed agito e quando riconosce di aver creato un danno; è capace di espiare per l’imperfezione evidente ma é sconcertato quando si trova a far la parte di Giobbe che, alla fine, deve ammettere che anche Dio ha una parte di ombra, quella che lo ha portato a scommettere con il Diavolo e che, per un suo capriccio, lo travolge.
In questa situazione non si può agire ma l’inerzia è parimenti difficile anche se serve a capire che si paga per colpe indirette, non importa chi le ha commesse: Plutone non è solo “personale” e a volte sembra dire: “ sei parte della tua storia e del tuo collettivo” e questa volta tocca a te pagare qualcosa che risanerà una ferita fatta al Dio e non è importante chi l’ha commessa, né in quale tempo è stata agita. Come se il Se’ chiedesse di pagare un tributo all’imperfezione e alla piccolezza.
Tutto ciò è parte della vita, o meglio – per usare una parola cara a Cesare Pavese – del “mestiere di vivere” e, se non si accetta, l’alternativa è un destino triste, senza alcuna possibilità di crescere. Plutone evidenzia quella parte dell’ essere umano che si arrovella ossessivamente sul “perché” e sul “cosa” e tutto nel tentativo di avere prima o poi una risposta che plachi la mancanza di senso e di fallimento.
E’ difficile districarsi in questa selva oscura, in quest’ intricata tessitura fatta da mani abili ma prive di compassione che hanno l’intento di far traballare le sicurezze a cui la mente si è aggrappata in passato: tutto è spettrale ed immerso in una sorta di palude, una specie di terra di mezzo dove il sole non penetra, non brilla e non scalda, perché non sorge.
C’è un senso di vuoto e di solitudine, un sentire sordo che non porta a nulla, se non al “non senso”, al disagio di vivere che alberga dentro ma che non si era ancora manifestato e che ha atteso paziente il momento opportuno per tendere il suo agguato.
Si vive come se si fosse contaminati da un parassita invasivo e strisciante che trae energia dalle poche forze presenti, appropriandosi di tutto ciò che servirebbe per respirare e continuare a vivere. E non sta a sottilizzare né sulla strada da seguire, né sull’intensità, né sulla possibile resistenza dell’eroe: esattamente come il virus non si pone il problema anzi, minori sono le difese, maggiore sarà il suo successo.
In questo frangente ci si rende conto che qualcosa del vecchio modo di essere è andato perduto e che le sensazioni che si avvertono sono la logica risposta all’atmosfera interna; simbolicamente si sa che avverrà lo scontro tra il vecchio – che deve lasciare ma che è ancora presente – e il nuovo che vuole affiorare ma è timido, titubante e non instilla ancora speranza.
Tutto sembra fermo; immobile, non comprensibile e, soprattutto, interminabile. La matrice originaria su cui la personalità sorge agonizza e conta i suoi giorni; l’esterno non esiste, non supporta, non aiuta e non offre soluzioni se non quelle banali che risultano inutili. La psiche vuole qualcosa di nuovo e di originale e perciò non può affidarsi a strade già percorse e così l’Io brancola in balia di pensieri, di emozioni e di sentimenti che si alternano e si affollano impetuosi, contradditori ma, soprattutto, ambivalenti ed incoerenti.
Ciò che si vuole oggi non è uguale a ciò che si voleva ieri e non è ciò che si vorrà domani; si è lacerati tra rabbia, impotenza, desolazione e si spera che ciò che si desidera più di ogni altra cosa si manifesti per poter ritrovare una condizione accettabile: un attimo dopo però si fa largo il pessimismo più bieco che lascia smarriti e che riporta il dolore.
L’atmosfera è triste e depressa: si attende, si resta immobili per avvertire qualsiasi nuovo movimento, qualsiasi sussulto che testimoni che ci sono germogli nuovi: si spera che qualcosa rimetta in linea “Sé, Persona ed Io” e che si ritrovi un contatto con la fonte originaria in modo che l’anima ritrovi senso e direzione, passando attraverso l’accettazione profonda di ciò che si sta vivendo.
Si spera che abili e compassionevoli mani possano rimettere insieme i fili incrociando trama ed ordito fino a permettere la visione di qualcosa di nuovo, ma soprattutto di vitale; si confida nel fatto che quelle mani siano in grado di fabbricare un “tessuto” dal disegno visibile o per lo meno intuibile che ridia colore e luce alla vita interiore.
Dopo tanta tristezza si ricomincia così a percepire il Sole, si risente battere il cuore che testimonia il risvegliarsi del centro; si avverte che il dolore ha fatto spazio perché ha portato via e dissolto molte cose; si sente che qualcosa ricomincia a pulsare e si torna ad avvertire amore per sé stessi e per la vita che, alla fine, si manifesta vittoriosa permettendo di scoprire che sono di nuovo presenti forza, volontà e desiderio di percepire la nuova forma, a dispetto di tutte le perdite subite.
Così, il transito di Plutone al Sole ha lo scopo di aiutarci a capire che, quando perdiamo qualcosa all’esterno, forse abbiamo già perso qualcosa di importante dentro; forse abbiamo concesso ciò che non si deve concedere a nessuno, se non alla divinità; forse si è amato senza comprendere cosa è l’amore e, forse, si è vissuti senza onorare la vita o, semplicemente, si è stati per troppo tempo nella “terra di mezzo” senza autenticità.
La rinascita è ora a portata di mano e il Sole ritorna a splendere e, ancora una volta, ci ricorda che abbiamo ricontattato il centro da cui possiamo partire per un nuovo viaggio guidati dalla luce del Se’ e dal sentire profondo del nostro cuore.
Plutone in quel momento annuncia che il tempo della rinascita è arrivato e che possiamo riappropriarci della nostra ricchezza interiore e del potere personale, unico che ci ridarà la forza di ricominciare, di sperare e di amare.
di Lidia Fassio