IL SIMBOLISMO MITICO

La Luna è stata per un lungo periodo l’astro più interessante per gli osservatori.
Fin dall’inizio della storia o dei miti il Sole è stato simbolo della capacità di riscaldare, di illuminare, è stato visto come qualcosa di estremamente importante, ma probabilmente la straordinaria complessità che i miti hanno dato alla Luna deriva proprio dal fatto che la Luna appariva di sera. In un’epoca in cui non c’era nessun tipo di luce artificiale la Luna poteva cambiare molto la vita, con la sua presenza o assenza.

La caratteristica della Luna era la sua mutevolezza, il suo passare da piccola al non esserci, ad essere un po’ più grande e poi piena. Gli astri sono stati i primi elementi che hanno ricevuto le proiezioni delle persone, e sicuramente sulla Luna venivano proiettate molte più emozioni che non sul Sole.
Sulla Luna veniva proiettata la paura, la mutevolezza, l’incapacità di essere stabile, pian piano tutta una serie di letture che noi facciamo oggi rispetto alla Luna sono state individuate proprio dagli uomini primitivi. Partendo dalla considerazione che la Luna riflette la luce del Sole e non ha una luce propria, la Luna ha proprio una luce che falsa moltissimo la realtà. La Luna non è mai stata messa in relazione al discorso della realtà, fin dall’inizio viene messa in relazione alla fantasia, alla possibilità quindi di trasformare le cose. La Luna assume questa immagine di trasformazione, di qualcosa che non sempre è ben identificabile.

La Luna è sempre stata vista come qualcosa che riusciva a modificare le nostre emozioni, in realtà sono le nostre emozioni che modificano le modalità attraverso cui noi guardiamo le cose. All’inizio del mito la Luna è stata messa in collegamento ai simboli di nutrimento, di fertilità, di stimolo alla crescita. Per un lunghissimo periodo l’uomo ha pensato che la Luna fosse la portatrice di vita, ma il collegamento non avveniva passando per la sessualità, ci sono voluti migliaia d’anni per arrivare a capire che in realtà la fecondazione era legata all’atto sessuale. Infatti tutti i primi miti lunari parlano del soffio della Luna, della donna che veniva fecondata da una colomba bianca ( alcuni miti parlano di un volatile di tipo diverso) che scendeva e fecondava la donna quando doveva diventare madre.
Alla Luna è stato dato fin dall’inizio il simbolismo di colei che portava la vita, che ingravidava, attribuendole quindi una funzione fecondante.
Il ciclo lunare è un ciclo naturale che prende in considerazione la nascita, lo sviluppo, la crescita, la decadenza e la morte. La morte però non è intesa come fine, ma semplicemente come passaggio attraverso cui qualcosa si trasformerà e riprenderà vita.
La Luna è stata legata, proprio per la fase storica in cui è stata presa come simbolismo mitico, alla fase tribale, in cui il ciclo era sempre uguale, si ripeteva; le tradizioni venivano portate avanti ed erano sempre le stesse, dalla ciclicità nasceva la possibilità per la tribù di poter dare un senso continuativo alle cose.

LA TRIADE LUNARE

Inizialmente c’erano quattro dee che soprassedevano alle quattro fasi della Luna – la luna crescente, la luna piena, la luna calante e la luna nuova.
La luna calante e la luna nuova vengono successivamente unite in una sola figura, che nei miti ancora matriarcali e all’inizio del patriarcato è anche la dea più importante delle tre, quella a cui viene dato il massimo della sacralità, perché la luna calante e la luna nuova sono quelle che rappresentano la fase in cui la Luna è arrivata alla sua totale maturità, (maturità del ciclo o maturità di età, perché la Luna rappresenta anche le fasi di età in questi miti) in cui ha raggiunto una grande esperienza, si può ritirare e ritirandosi apre la possibilità per un nuovo ciclo di poter prendere il via.
Questa ultima dea, rappresentata dalla dea Ecate, veniva considerata quella più importante e che aveva anche simboli più intensi e più potenti. Qui c’è il momento di passaggio, la grande diversità che poi troviamo tra i miti matriarcali e il patriarcato, in cui le simbologie lunari vengono completamente stravolte.
Tutto quello che noi troviamo di importante e di potente nel sistema matriarcale verrà demolito. Oggi abbiamo la possibilità di vedere che tutto quello che era simbolicamente adorato nel sistema delle dee madri è quello che è stato demolito dalla cultura patriarcale.

Le donne che avevano un profondo rapporto con la terra e con la natura, che erano quelle che conoscevano le erbe, che conoscevano tutto quello che poteva guarire, ma ai tempi dell’inquisizione venivano considerate streghe e venivano bruciate.
Noi oggi possiamo intuire quanto poteva essere potente l’immagine del femminile nel passato, perché impiegare 5.000 anni a combattere qualcosa di debole, come dicono gli uomini, non ha senso. Bisognava combattere qualcosa che si sentiva come terribilmente potente.
Ecco in breve le fasi del matriarcato. Dal 30.000 a.C. al 10.000 a.C. circa abbiamo la fase del matriarcato arcaico. Le strutture sociali qui sono tutte matriarcali, ed è la fase in cui si instaura la matri-linearità, il vivere in tribù, ecc. La Grande Madre era raffigurata da una donna con moltissime tette, quindi simbolicamente c’è l’immagine della dea nutrente, che rappresenta la fase psicologica in cui la mamma è solo buona, prima dell’apparizione della polarità.

Dal 10.000 a.C. al 1.000 a.C. c’è un matriarcato altamente evoluto, e all’interno di questo periodo si inserisce già il patriarcato. Qui non abbiamo più la Grande Madre come immagine mitica, appare già la polarità, l’uomo primitivo ha l’immagine che la natura non solo è buona ma anche matrigna, la natura spesso non dà da mangiare, crea problemi come terremoti, maremoti: in questa fase la stessa immagine della Grande Madre acquisisce anche un fallo.
Psicologicamente vuol dire che si comincia a vedere che ci sono due aspetti della realtà. La nascita dell’Io, oppure la nascita del patriarcato, si inserisce alla fine di questa fase, nel matriarcato altamente evoluto. Successivamente abbiamo il ciclo trifasico, cioè la dea che diventa una con tre teste, oppure tre dee. Il ciclo trifasico corrisponde al ciclo uterino, che è un ciclo che ha tre fasi, diversamente dal ciclo ovarico che ne ha quattro, ed è il passaggio dal matriarcato al patriarcato. In questo periodo di transizione avviene anche il rovesciamento di tutti i simboli sacri della dea nel loro opposto. Avvengono sconvolgimenti molto profondi, non solo sulla vita sociale ma anche a livello intra-psichico. Tutto quello che non viene accettato cade nell’ombra, che è presente nella psiche di ogni uomo, ed è il rimosso che c’è all’interno delle donne. Sul piano mentale, si passa dal pensiero mitico-matriarcale a quello razionale. Tutto questo comporta la divisione del ruolo femminile. L’uomo, che secondo i miti matriarcali si considerava parte del Tutto, acquisisce la capacità di sperimentarsi come un Io autonomo, quindi separato da tutto il resto, prende però le distanze da tutto questo e si contrappone anche agli altri.
Si passa dalla coscienza del Noi – che era la coscienza precedente – a quella dell’Io, cambia completamente la struttura del pensiero. La coscienza analizza il mondo come qualcosa che ci sta di fronte, che possiamo osservare, senza però prenderci parte.
Da questa struttura mentale nasce la separazione. Prima non c’era assolutamente un’etica dualistica di bene e di male, invece ora si scinde questa totalità originaria e tutto viene diviso: bianco-nero, sopra-sotto. Infatti la natura dea-madre non è né buona e né cattiva, né morale e né amorale ma entrambe le cose insieme, così come nel ciclo matriarcale era il concetto di vita e di morte. Tutto era un ciclo di continuità. La struttura del pensiero razionale invece divide fra oggettivo ed esistenziale.

a cura di Lidia Fassio